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17 dicembre 2006

Herzog e i Grizzly di Timothy. La poesia delirante dell'uomo moderno (e del cinema).


D'immagini disponibili purtroppo ce ne sono poche ma avrei voluto mettere la panoramica sulla distesa di ghiaccio, anche se senza voce over è meno leggibile.

Ho visto il film di Herzog, quello sui Grizzly... la prima e l'ultima cosa che mi è venuta da pensare è stata: gli americani sono veramente folli. Ma in fondo si tratta pur sempre di una follia che ci circonda e che, almeno in parte, è dentro ognuno di noi, solo che non sempre è così manifesta, non sempre trova la giusta via per esprimersi. Perlomeno è una follia pura. Si può in parte considerare quest'opera un documentario perché il personaggio è assolutamente perfetto così com'è, la pazzia del cinema cosa potrebbe aggiungere? Può solo documentare, anzi autodocumentare una poesia perfetta. Ribellione inutile, delirio d'onnipotenza, amore-odio verso la natura, rifiuto della cultura degli uomini, questi alcuni dei tratti che caratterizzano il personaggio-persona di Timothy. Herzog non si limita a fare un film, vi entra, lo conclude. Cerca ossessionatamente un qualcosa di perfetto in quelle immagini, lo trova, ce lo mostra, ci sforziamo di vederlo anche noi. Non importa che la lotta di Timothy sia inutile, è una lotta perfetta, romantica. Non importa che il regista veda la natura su un lato completamente opposto a quello dell'ambientalista, perché apprezza l'estremismo del gesto (non nel senso comune del termine politico), il tentativo di rifiutare un mondo preconfezionato, il sogno impossibile... i mulini a vento. Hanno citato Bazin nella scena in cui Herzog rifiuta di farci sentire il sonoro della fine dei due ambientalisti. La tragedia non viene mostrata, ma è riflessa nelle espressioni di una delle donne che è stata più vicina a questo eroe inutile al mondo, ma utile a se stesso. Le stesse espressioni di Herzog mentre ascolta il nastro sono riflesse sul viso di quella donna. Il regista mette in piedi il principio baziniano (tenere la tragedia fuori campo) anche nella realtà, non facendole ascoltare il nastro, ma facendole vedere le sue reazioni, reazioni che di riflesso mostra anche a noi. Entra nella storia fisicamente, è grazie al suo apporto che le ceneri saranno sparse nel luogo dell'accampamento, è lui che conclude la vicenda. Non siamo più di fronte ad un'impressione di realtà, è realtà, ma comunque le azioni vengono mediate dalla presenza della macchina da presa. Timothy sembra rifiutare la cultura dell'uomo ma non rinuncia alla compagnia di una telecamera. Sente la necessità di documentare la sua scelta, d'insegnare ai bambini. Vive in un film. Cerca sempre di entrare nell'inquadratura. Gli capita di esplodere in deliri che Herzog definisce tipici degli attori. C'è una totale fusione fra realtà e proiezione di realtà. L'uomo si è identificato col suo personaggio, torna al cinema il piano sequenza, a dispetto dei meccanismo televisivi di ritmo, ritmo, ritmo. Torna l'idea (sempre Baziniana) di un'estetica della realtà, un recupero di quello che è, potrebbe essere, il cinema (neorealista? cinema europeo dell'attimo di pura poesia non previsto in sceneggiatura... ma girato da un ambientalista americano?). Avremmo mai creduto ad una storia come questa (ai giorni d'oggi) se non ci avessero detto che si trattava di un documentario? Avremmo detto: perfettamente verosimile (quello che è il cinema) ma mai reale. Timothy non era un documentarista e neppure un ambientalista, ma casomai il contrario. Girava un film su se stesso, disturbava e contaminava gli animali ma aveva trovato il suo sfogo perfetto all'obbligo della vita, la fama, l'amore e soprattutto una morte coerente.

Mi viene da pensare che neanche lui avrebbe mai creduto di resistere così a lungo. Quando vivere nel mondo degli uomini era diventato davvero impossibile era giunto il momento del suicidio spettacolare. Qualcuno ne sarebbe rimasto talmente affascinato da montare le sue riprese e aggiungere del proprio.
Ho provato tanta tenerezza, anche per quel bombo morto mentre succhiava nettare dal fiore, per lui che soffriva della morte di quell'insetto, una morte perfetta. Ho riso quando il bombo si è mosso.
Non credo assolutamente che si sentisse un orso, i suoi paragoni sono sempre collegati al suo mondo originario. Casomai umanizzava gli orsi, come Walt Disney. Viveva al confine fra due mondi senza essere nè dell'uno nè dell'altro. Li credeva capaci di sentimenti, pensieri, scelte non naturali per loro. E' una cosa che istintivamente facciamo tutti davanti un animale come davanti ad un peluche, solo che quelli che aveva scelto lui possiedono una forza incredibile. Meglio sarebbe andata se si fosse occupato solo di volpi, che tra l'altro simpatizzavano incredibilmente con le sue carezze :)

www.grizzypeople.com

1 commento:

Anonimo ha detto...

Il grizzly è simpaticissimo. Anche Herzog. Interessante anche il suo film "Dove sognano le formiche verdi"

(http://infinitapoesia.splinder.com)