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22 giugno 2009

Il giorno in cui ho incontrato l'uomo dai quattromila lucchetti.


Approfitto di una pozza di solitudine per ritagliare uno scampolo di piacere oltre il ferreo dovere di questi giorni e raccontarvi la giornata di ieri prima che ne sbiadiscano i dettagli, seppure la sostanza mi accompagnerà per tutto il mio tempo.
Un giorno ho deciso che avrei voluto imparare a dare forma alle sensazioni, plasmare i pensieri in strutture di parole. Ho cominciato a fissare idee estemporanee, combinarle, imparare giochi di vocaboli, scommettere su uno stile modesto, che non andasse a intaccare l'emozione, la storia pura. Ne sono nati racconti, aforismi, scarabocchi, un abbozzo di romanzo lasciato al culmine del suo sviluppo per troppo dolore, per paura di voltare pagina. Trasmutavo - stegoneria narrativa - visi e sensazioni vissute da me o da altri in storie, insaporendo la realtà con incastri fra reale e reale immaginato.
Ieri ho avuto invece la consapevolezza di incontrare una storia viva, fatta di carne, tempo dilatato e respiro.


Cedogno è un paesino in sasso. Vi si arriva tramite una stradina sterrata che penetra nel borgo fra stretti muri ed ebeti tremanti anziani cani, apparentemente confusi al passaggio di un'automobile, raro mostro d'acciaio e meccanica a contaminare un paradiso naturale a guardia del quale sta il Monte Fuso. Delizia di paesaggio d'appennino.
La casa dell'uomo dai quattromila lucchetti domina il torrente, lungo la stradina che porta a valle verso un ponticello ed un mulino.
Ubriachi di ciliegie sotto spirito assaporate in una deliziosa trattoria da quattro tavoli [trattoria Tarasconi a Paderna di Neviano degli Arduini] vi siamo arrivati nel tardo pomeriggio dopo esserci gustati oggetto per oggetto - e artigianali piccoli spaventapasseri costruiti da un piccolo e disordinatissimo gruppo di bambini - un minuscolo museo etnografico, un piccolo sogno, un piccolo scrigno di memoria, questo a Bazzano [Museo Uomo Ambiente]. Lì abbiamo conosciuto un'altra temporalità resa possibile dal lavoro su un vecchio telaio, fra i suoni ritmati del legno, tatto di canapa e lino e vecchi canti popolari.Vittorio galleggiava sprofondato su una poltrona fra bacheche in vetro che esponevano un selezionatissimo e allo stesso tempo numeroso gruppo di oggetti. Ci scrutava dubbioso e diffidente, esaminava il nostro interesse per cercare di capire quanto valesse la pena dare di un tesoro raccolto, fra sacrifico e piacere, in una vita intera. Ci sfidava, volendo dimostrare che il suo Museo potesse essere all'altezza delle più belle collezioni. Tibet, Marocco, pezzi di età romana, lucchetti da sei chiavi, segreti dei templari. Il mondo intero a partire da un lucchetto ricevuto in prestito e smarrito in guerra, sepolto sotto un cumulo di macerie e mai più ritrovato, la cui combinazione a lettere riportava il nome esotico di una donna "Juana" che come una chiave chissà a quale serratura di cuore era stata legata. Poi qualcosa è scattato fra un incrocio di sguardi e Vittorio ha cominciato ad estrarre ferrosi e arrugginiti grossi lucchetti da scatoloni e buste di plastica, questi finalmente da toccare, oltre i grandi vetri dell'esposizione. Per noi ha svelato l'enigma di complicati meccanismi che per la sua sapienza non hanno mistero. Ha combinato chiavi e serrature, raccontato storie lontane nei luoghi e nel tempo, srotolato la sua vita, condiviso - regalo infinito - la sua meravigliosa passione. Vittorio ha fatto ancora di più. Ci ha mostrato l'oggetto più bello del mondo, qualcosa che non avremmo mai più rivisto nella vita (un porta monete da tram) e poi ci ha rivelato la sua cantina (lavatrici a mano, seminatrici adoperate dalle sue mani poderose e gentili come fossero violini, piccoli mulini casalinghi),fino a portarci a conoscere Tito, il suo migliore amico, un grassoccio cane nero dolcissimo e ad assaporare un caffè a casa sua. Si è lasciato fotografare abbracciato a sua moglie che ha pazientemente sopportato per tutti i loro anni la sua strabordante passione, vedendone irrimediabilmente contaminata la casa, mentre sua nuora metteva la caffettiera sul fuoco. E nell'attesa ci ha rivelato altre decine di meraviglie nella sua sala strapiena di cose, facendone parlare una ad una e poi riponendole in una precisa geografia di oggetti, materializzazione palpabile della memoria.
Sorrideva Vittorio. E noi sorridevamo, riconoscenti, con lui.

Museo storico del lucchetti
Museo Uomo Ambiente