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18 novembre 2006

Un altro capriccio

Oggi mi è venuta nostalgia della Grecia.
Nostalgia della Grecia dei bar, delle piccole donne che servivano whisky e due parole d'inglese a Gabriele e poi scappavano a spiarmi dal balcone.
Ho nostalgia della Grecia che non ho visto.
Ho nostalgia dell'anziana donna che contava numeri greci su dita callose.
Ho nostalgia dell'arido sole pungente ma, soprattutto, di gatti sonnolenti appoggiati al bianco accecante delle isole.
Ho nostalgia della Grecia come se non potessi mai più rivederla, come Foscolo aveva nostalgia di Zacinto.

Paralisi temporale

Nella mia paralisi temporale vedo bambini che saltano la corda sfidando il cielo grigio quando anche il sole, ormai, si è arreso.

17 novembre 2006

Povero blog

Il mio blog soffre di complessi d'inferiorità

Tra figli non amati e polenta amatissima

Sarà la nebbia?
Sarà la pioggerellina?
Ho ripreso in mano la mia abominevole-cosa-di-ormai-63-pagine che se ci penso bene non ha capo e non ha piedi (ma in fondo persino il Cristo morto del Mantegna ha piedini tanto piccoli...).
L'unica cosa che la tiene insieme (e buttiamo pure tutte le teorie di costruzione della storia) è lo sviluppo psicologico dei personaggi... o lo sviluppo della malattia psicologica dei personaggi.
E' una storia triste e psicologica (sennò non ripetevo "psicologica" tre volte in due righe e mezzo), se non fosse psicologica (e complessata) non adorerei Dostoevskij e neppure "La coscienza di Zeno". Anzi non è nemmeno una storia nel senso canonico del termine, forse è un'autobiografia a due senza che i due sappiano di star scrivendo un'autobiografia... non so cos'è. Resta il fatto che, da due anni a questa parte, ci sono sopra e lascio succhiare tutte le mie risorse a questo figlio... che forse non amo più. Ma si uccide un figlio che non si ama? E' possibile non amare un figlio?
Di racconti brevi, comunque, da un pò di tempo neanche l'ombra... mangia tutto lui, è un cuculo che butta i "fratelli" giù dal nido.
Non so, l'unica cosa certa, in questo momento, è che fuori c'è nebbia e che, anche se forse non c'entra niente, sto pensando alla polenta che mi facevano i miei nonni, su quella bella spianata di legno, con tanta salciccia e tanto parmigiano. Quella polenta appena macinata, che mio nonno, dopo essersi messo il cappello, andava a prendere al mulino e che, a contatto con l'acqua, cominciava a gonfiarsi, fino a riempire la pentola. Poi andava a sdraiarsi sulla tavola e io, con la forchetta, facevo un segno su quella cosa giallina morbida ma compatta. E, ovviamente, non riuscivo mai a finire tutta la polenta che mi ero "prenotata".

14 novembre 2006

Dio: Questa befana degli adulti - e che non << caca >> mai.

Soffici

Lo Scienziato cerca un gatto,
un gatto nascosto
in una stanza buia.
Non lo trova, ma...
ma ne deduce che è nero.
Il Filosofo cerca un gatto,
un gatto che non c'è,
in una stanza buia.
Non lo trova, ma...
ma continua a cercare.
Il Teologo, oh il Teologo
cerca lo stesso gatto.
Non lo trova ma dice
ma dice di averlo trovato.

Flaiano

L'impazienza di Dio nel pubblicare il mondo non finisce di sbalordirmi. Cose così si tengono nel cassetto per sempre.

Bufalino

Lo stravolto

«Piaccia o non piaccia!»
disse. «Ma se Dio fa tanto»,
disse, «di non esistere, io,
quant’è vero Iddio, a Dio
io Gli spacco la Faccia».

Preghiera d'esortazione o di incoraggiamento

Dio di volontà,
Dio onnipotente, cerca
(sforzati), a furia d’insistere
- almeno - d’esistere.

Caproni

Il mondo sarà salvato, se potrà esserlo, soltanto da spiriti non sottomessi. Senza di essi la nostra civiltà sarebbe finita, e con lei ciò che amavamo e che dava alla nostra presenza sulla terra una segreta giustificazione. Costoro sono il "sale della terra" e i responsabili di Dio. Infatti sono convinto che Dio non sia ancora e che dobbiamo ottenerlo.

Gide

Ricordi(sbiaditi) di una (ex)Proiezionista

Avete mai provato ad entrare in una sala da proiezione cinematografica? Il proiezionista é un essere solitario che si nasconde nel buio e spia i movimenti della gente. Il proiezionista di periferia conosce ad uno a uno i clienti del cinema e sa già dove si siederanno. Ecco che arriva il cinefilo di paese e inevitabilmente si siede in prima fila, eccolo che piega il collo all'indietro appena comincia la pubblicità e le luci si spengono. Il cinema di periferia, solitamente, é un cinema parrocchiale e al piano di sotto c'è la sala da ping pong in cui il proiezionista e i suoi clienti andavano a giocare da ragazzini. A volte capitava che la pallina fuggisse dal tavolino verde e arrivasse fino nell'altra stanza, dove una ripida scalinata saliva fino ad una porta sempre chiusa, una stanza sempre buia. Quella scalinata invitante è la stessa che ora sale il proiezionista, ogni venerdì, sabato e domenica sera; infatti da ragazzino non ha potuto resistere e ha spinto quella porta pesante, che quella sera era aperta. Ha visto un uomo, o forse lui stesso, e una vecchia signora. Quella vecchia signora si chiamava e si chiama tutt'ora Victoria VI. Quella vecchia signora é impolverata, arrugginita, rumorosa ma, appena si spengono le luci in sala e il proiezionista aziona una lunga leva dal pomello giallo, si accende e, dal buio più totale, nasce un raggio di luce dove la polvere danza. Tutti quegli ingranaggi complicati si mettono in moto perfettamente coordinati e, soltanto per un attimo, il proiezionista trema per un pensiero improvviso: potrebbe aver sbagliato a dare ordine a quel mondo che gli appare improvviso di fronte agli occhi, quel mondo dove i fotogrammi sostituiscono il tempo. Allora sbircia da un buco rettangolare posto vicino alla sua testa e controlla che il mondo che ha appena creato sia in quadro, sia in ordine, mette le cuffie e si assicura che gli uomini che si muovono nel suo mondo di luce non urlino, nè sussurrino per non dar fastidio a quei clienti che conosce così bene, che vede ogni sera dall'alto. Alla fine, con cura, divide la pellicola e ripone le bobine nella scatola. Ha osservato le persone defluire velocemente nella sera gelida, il loro fiato che si condensa in nuvole di vapore. Nessuno si é accorto di lui. Solitario, in piena notte, torna a casa e lascia - fino al prossimo fine settimana, fino al prossimo incontro con la vecchia signora, con il cinefilo della prima fila, con le persone che ignorano la sua esistenza - il mondo di luce nella scatola.

13 novembre 2006

Solito viaggio verso la vecchia Bologna

Infreddolita ho aspettato il solito piccolo treno che passa, ogni giorno, più o meno allo stesso orario, per questa stazione di periferia dove da ormai cinque anni mi fermo ad osservare le persone, a leggere messaggi scritti sulla panchina di legno pesante della sala d'attesa, a guardare più lontano possibile e a tendere l'orecchio. Ho scoperto un tavolino! Ho avuto la fortuna di prendere un treno vecchio abbastanza e, mentre cercavo un posto tranquillo per leggere, in una carrozza é comparso uno di quei bar che avevano addirittura banco e saracinesca! Ho Aperto il mio taccuino nero e, dopo tanto tempo, ho scritto. Ho Scritto davanti al finestrino, osservando la pianura padana che stamattina mi sembrava addirittura bella. Avevo una disperata voglia di un buon caffé e, mentre scrivevo, già mi rendevo conto che questo vomito di parole calde sarebbe stato solo un ridicolo palliativo.
Sono Scesa, ma ho immaginato il viaggio del treno che continuava... le colline dominate dalla rocca di Gradara, la galleria con quella inspiegabile linea bianca che avrebbe cominciato a salire e scendere, la scogliera di Pesaro che avrebbe tolto il sole alla spiaggia e il golfo, il faro, il duomo, mia madre che mi avrebbe aspettato sul sesto binario.
Sono arrivata in anticipo e mi sono immediatamente diretta verso l'università. Appena entrata ho comprato qualche minuto d'attesa infilando una monetina nella macchinetta che, tra vari rumori, mi ha preparato un caffè automatico e ritardatario, nonostante tutto bello caldo. Probabilmente sarebbe stato meglio fermarsi qualche minuto in un bar, osservare le persone per la strada mentre il cappuccino bollente avrebbe a poco a poco appannato la vetrina. Ma avevo voglia di nascondermi in mezzo ad una folla che mi assomiglia. La strada, oggi, era come acqua e ogni passante, veloce nuotatore, l'infrangeva. Ad ogni bracciata diventava vaporosa e così, io, vi cadevo dentro. Sentivo di occupare lo spazio abusivamente; i miei venti minuti di apnea sarebbero terminati se non avessi allungato il passo. Lunghissima via indipendenza, infinita via Irnerio, via Mascarella, girare l'angolo... (respiro)... l'università!
Bologna, oggi, mi é sembrata infinitamente lontana.

10 novembre 2006

La principessa e la lucina azzurra


Marta, La nipotina di un mio carissimo amico (Giovanni), ha disegnato una principessa talmente dolce e bella da non poter fare a meno di chiedergli se potevo pubblicarla.
Ma c'è un piccolo episodio che mi ha raccontato Giovanni e che non dimenticherò mai:
Marta gli ha chiesto: << vedi una lucina azzura, su in alto, nel cielo? >>.
Non c'era, ma lui è stato al gioco: << si, cos'è?>>.
Lei lo ho abbracciato e infine ha detto: << La mia fantasia >>.

Mi sto aprofittando dell'altrui intimità, ma penso ne valga davvero la pena.

A Pietro, un uomo vivo e un falegname morto.

E' il mio personaggio che parla, ho provato a spiegargli che suonava retorico, che doveva prima far defluire l'odio, la rabbia... non c'è stato verso. E poi mi odia, perché l'ho creato.

Gli angeli sono la categoria sociale più bistrattata, non hanno diritti sindacali. Se ci pensi Dio è onnipotente, quindi se ci lascia crepare tra atroci sofferenze ha un suo oscuro, anzi molto oscuro, motivo; gli angeli non possono nulla. Ci amano più di Dio, che ha troppa gente da seguire, ci amano perché si occupano solo di noi (ovviamente mi riferisco solo agli angeli custodi). Però non possono nulla loro. Le decisioni sono prese dall’alto e a Dio non credo che interessi il punto di vista di un esercito di angeli custodi. Se crepiamo loro poveretti magari si erano affezionati e avrebbero voluto diversamente, chi lo sa. Poi, come in un famoso film, magari rinunciano ai propri privilegi di angeli per poterci toccare e sfiga vuole che moriamo proprio in quel momento e così, come noi, capiscono realmente la morte solo al tocco gelido di una pelle appena uscita dal frigo dell’obitorio.
Mio padre è stato tenuto in frigo per tre giorni interi, che vuoi, da noi i funerali non si celebrano né di sabato, né di domenica e la burocrazia non conosce il dolore di una vedova, la burocrazia è carta, legno morto e affettato. Sdraiato in quella bara, col cotone tra i denti sembrava sorridesse. Il cancro da tre anni gli aveva tolto il sorriso, un sorriso che tornava solo se si affacciava alla porta l’unica nipotina. Penso che il suo angelo debba aver sofferto tremendamente insieme a noi, penso che all’improvviso, di fronte alla malattia, anche lui abbia sciolto tutti i rancori che avrebbe potuto portargli. Anche lui avrà camminato lentamente fino alla macchinetta del caffè per un attimo di pausa, un’isola d’indifferenza.
L’angelo custode del suo compagno di stanza è tremendamente arrabbiato con mio padre. Erano due mesi che tentava di non fargli perdere le speranze, di fargli credere, anche se ovviamente non era vero, che avrebbe potuto lavorare e vivere in casa sua anche senza una gamba. Credo che questo angelo si chiamasse Pietro proprio come il suo assistito, che anche lui avesse mani nodose da falegname e un cuore mai troppo pieno di sentimenti, credo anche che andassero molto d’accordo. Questo angelo mi era grato all’inizio, perché mi occupavo di quelle cose indispensabili che le infermiere non facevano e che lui, per motivi d’immaterialità, non era in grado di fare. Tanto per mio padre c’era poco da fare. Ero quasi sollevato a vederlo incosciente, gli ultimi tre giorni. Mi saliva un brivido alla schiena se lo vedevo muovere appena le labbra a contatto con la garzetta umida con cui tenevo bagnata quella bocca sempre più nera. A differenza di mio nonno, non aveva chiesto spiegazioni su quello che gli sarebbe capitato. Capiva, aspettava e col frate parlava d’altro. Gli comprava ad un euro l’uno dei santini che sarebbero dovuti servirci a decorare la sua bara.
Pietro non solo non smise più di piangere ma con la morte di mio padre smise di ascoltare l’angelo. Gli ho lasciato il mio numero di telefono a sostituire in parte un angelo muto, stupendomi di me stesso. L’ho chiamato ieri, ha scoperto di avere anche problemi all’esofago e forse non parlerà più. Se farà pace col suo angelo dovranno comunicare a gesti.
Io, invece, dalla morte di mio padre non la smetto di sognare. Chi non vorrebbe che un così atroce martirio fosse utile a qualcuno? Aveva ragione lui, anche se non aveva capito davvero quello che stava dicendo: è ora di smetterla con tutte queste cazzate.