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30 agosto 2011

Desiderio di cieli d'Irlanda (céad míle fáilte)


Galway - Irlanda, 26 agosto 2011

Pare impossibile da credere, ma è arrivato anche per me il momento di fare le valigie. Mi fermo a guardare la stanza irlandese in cui ho passato un mese della mia vita chiedendomi cosa mi aiuterebbe a rendere meno dolorosa la partenza, cosa potrei ancora infilare a forza nello spazio stracolmo dei ricordi, quanto sentimento mi resta per pagarne la sovrattassa al momento del check-in. Sulla scrivania rimangono le lettere, i disegni, le fotografie che mi sono state spedite dall'Italia: àncore fatte carta e inchiostro che mi richiamano - donna affacciata sull'oceano - al mio mare; l'ultima tazza di tè che ho - volutamente - dimenticato di riportare in cucina.
Lancio uno sguardo furtivo al cortile dove Bernadette e Christian stanno sfamando i gatti randagi; sì, sono parte della famiglia ormai (desiderio di estati più miti).
Scriverò cartoline per Natale? Penserò che anche in Irlanda bastano cinque centimetri di neve per mandare in panico il servizio pubblico di trasporti?
Domani avrò una lunga attesa all'aereoporto di Dublino.
Spero ci saranno ampie vetrate trasparenti per godere ancora degli incredibili cieli d'Irlanda.
Gli amici, le isole, i megaliti, gli insegnanti, le scogliere si sono presi ognuno una comoda tasca della valigia, senza chiedere permesso, sta a me ora infilarci anche il modo in cui questo paese si sta disfacendo: un amplesso dovuto alla voluttosità del tempo; la solitudine del percussionista; la voglia di stringersi l'uno all'altro nei vaporosi pub di Gallimh.

01 agosto 2011

"Mum, mum we are landing on the clouds!"

Con queste parole, pronunciate da una bimba affascinata dal volo e dai panorami vaporosi del cielo grigio d'Irlanda sono atterrata a Dublino. Le nuvole qui corrono talmente forte che verrebbe voglia di stare a guardarle per ore e ore. Squarci di blu intensissimo appaiono a volte a far da contrappunto ai verdi incredibili della campagna.
Due giorni nella capitale sono stati sufficienti a farmi innamorare dell'Irlanda e degli irlandesi. Tanti stereotipi si sono già infranti e, ora che sono arrivata a Galway, sulla costa atlantica, il desiderio di affacciarmi sull'oceano si fa sempre più forte.
Dublino, è quasi inutile dirlo, è una città piena di colori, musica, cultura. Per le sue strade sono passati scrittori e uomini di teatro del calibro di Joyce, George Bernard Shaw, Wilde, Beckett. Scopro di averli amati da profana, perché amarli nella loro terra d'origine assume un altro rilievo. Vi sono infiniti giardini e splendide corti in cui meditare, validissimi musei da esplorare. Dopo aver camminato per chilometri e chilometri lungo le vie del centro sono riuscita a trovar tempo per il Museum of Decorative arts & History (che ospitava un'interessantissima mostra sull'arte giapponese, nonchè un angolino etnografico), L'Irish Film Institute, L'Irish Museum of Modern Art e, grazie a Stefano, la biblioteca storica del Trinity College.
La cucina è ottima, sempre grazie a Stefano ho potuto assaggiare una bayles chocolate cheese cake che si è assicurata un posto eterno nella mia memoria gustativa. Realizzo solo ora che, pur avendo sangue nomade, non ero mai partita per l'estero da sola e tantomeno ero stata via così a lungo. Casa mi manca, ma in maniera strana: piuttosto che tornare vorrei portare casa qui, impacchettare tutti gli affetti, tutti gli oggetti, tutti i sapori, gli odori, i sorrisi e portarli a Galway almeno per un po'. Mi rendo conto che già pianifico come ritornare, se rimanere. Per cominciare spero che questo agosto non sia né troppo lungo, né troppo corto, ma per una volta a misura dei miei sentimenti che ho portato a scongelare al nord, data la mitezza della temperatura umana.