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26 settembre 2007

Essere uomini. Una proposta di nobel per la pace al popolo rom.

La parola Rom significa uomo. Ma cosa significa essere uomini ai nostri giorni? Prima che la notizia diventi troppo vecchia voglio segnalare che Liberazione del 22 Settembre si apriva con un'intervista a Moni Ovadia che, provocatoriamente o meno, proponeva il nobel per la pace al popolo rom. I rom, infatti, sono un popolo libero, senza esercito né frontiere, senza condizionamenti economici. Sono un popolo in perenne fuga, a partire da quel lontano giorno in cui furono costretti a lasciare l'India, dove lavoravano il ferro, l'impiego più umile del paese in quanto considerato demoniaco. Spesso, negli occhi di una ragazza rom, potete leggere la diffidenza; una diffidenza data dalle persecuzioni, il razzismo, il genocidio perpetrati ai danni di questa incredibile cultura, una cultura che conserva ancora la magia del rito, il valore di una cultura orale sopravvissuta a secoli di tentativi di distruggerla (la sterilizzazione forzata in Svizzera è andata avanti fino al 1975...i roghi di campi nomadi legittimi [spesso situati sopra vecchie discariche] sono all'ordine del giorno). Fra l'altro integrazione in Italia è sinonimo di rinuncia e i rom non vogliono rinunciare a quello che sono. L'incontro di culture avviene nella crescita e rispetto reciproci, la cultura più forte non deve pretendere di divorare quella più debole. La loro è una diffidenza giustificata da un odio ingiustificato che non si è mai tramutata in violenza checché l'opinione pubblica ne dica. I luoghi comuni dello zingaro rapitore di bambini o ladro si spezzano non appena si viene a contatto con loro. Si scoprono le loro micro economie marginali, quelle che noi rifiutiamo, la loro abilità nell'uso dei metalli, la loro creatività, il loro senso incredibile della famiglia che si allarga fino all'intera comunità, la gioia con cui vivono giorno per giorno, l'importanza della ricchezza interiore più di quella esteriore.
Essere gadjo, cioè non rom, ci sta portando a valori snaturati dal mercato, dalla fretta, da falsi miti, ci sta portando insomma ad essere non uomini. Se davvero siamo capaci di considerare la diversità come la vera ricchezza, specchiamoci negli occhi di quelle ragazze dalle lunghe gonne colorate che tentano di venderci braccialetti e di quegli uomini che tanto amano giocare a carte in compagnia e che restaurano vecchie pentole di ristoranti e cerchiamo di vederci quello che noi non siamo più capaci di essere. Leggiamo nei loro occhi che la nostra rabbia verso di loro è solo paura: paura di libertà.

Un film da vedere: Gadjo Dilo di Tony Gatlif
(Lo straniero pazzo)
Musica? Django Reinhardt

19 settembre 2007

Piccola storia ignobile dell'uomo che si trasformò in formica

Ogni riferimento a cose o persone reali è assolutamente voluto

Non ricordava più il momento in cui si era trasformato in un insetto blu. Una specie affatto rara. All'inizio la trasformazione era stata graduale. Il sole lo scopriva blu al mattino e tornava ad essere uomo la sera. Poi, il formichiere aveva minacciato di distruggere il formicaio, così blu lo era rimasto per sempre. Da otto ore al giorno si era passati gradualmente a dieci, fino ad arrivare a dodici, e il sole non lo vedeva uomo più per niente, al punto che la luna era riuscita a convincerlo che la trasformazione completa, ormai, era inevitabile. Al blu dei suoi vestiti d'insetto s'aggiunse il giallo delle macchine che aiutavano le sue azioni ad essere più produttive. Come una formica ormai sollevava trenta volte il suo peso. Portava tanta roba adesso che era blu e giallo, che il sacrificio di altre formiche schiacciate dalla sua macchina pesante si era reso necessario, a parere del formichiere e quindi di lui stesso. Aveva cominciato persino a ragionare come una formica. Sporco e stupido guardava le cose senza capirle: guardava l'enorme vecchia caldaia ad olio combustibile che dava energia al formicaio e vedeva affascinato quella polvere marrone appoggiarsi sulle sue spalle come neve arrugginita. Sapeva che la cattiva stagione aveva reso necessario agire con la chimica sul prodotto avariato: 25 kg di acido in due ore. Un'altra conferma del fatto che il formichiere aveva sempre ragione: il pH del prodotto era tornato perfetto, i suoi polmoni non erano ancora ammalati di cancro, la formica che aveva investito si era salvata, il formicaio non faceva che allargarsi. La stanchezza delle dodici ore non segnate a libretto lo aveva fatto diventare rabbioso con le altre formiche - rosse e bianche - più piccole, vedeva sua moglie solo mentre dormiva (infatti la schiena a colpi di vibrazioni del carrello ormai lo teneva insonne), non sapeva cosa fosse un libro né un film, tantomeno il mare, ma il lavoro su turni faceva sì che il formicaio fosse il più grande e produttivo della zona, a prova di sconvolgimenti. E la formica blu, anche quando formichieri ancora più grandi decisero per tutti gli insetti contratti a tempo determinato, co.co.co anche per i non gallinacei, stipendi trattenuti del 30% dalle agenzie interinali, pensioni private, licenziamento in caso di malattia, la formica blu, ormai stanca, continuava a credere nella forza della necessità...

Continua?

18 settembre 2007

Festivalfilosofia sul sapere

A Modena, Carpi, Sassuolo ormai siamo di casa. Per il terzo anno consecutivo ci siamo gustati il festival della filosofia e in particolare due lezioni magistrali: "Streghe, levatrici, madri. Il sapere delle donne" di Silvia Vergetti Finzi e "Il sapere della follia" di Remo Bodei. Si è parlato, quindi, della figura di Melusina, la donna con due code di serpente fondatrice della stirpe dei Lusignano. Dunque una donna a capo, una donna che sceglie e fa la ricchezza del marito chiedendogli in cambio un solo giorno tutto per lei: il sabato (il "sabba" delle streghe?). Una storia, questa medioevale, tanto amata dal popolo che, col suo potente immaginario libero da repressione, l'ha scolpita in un capitello del delizioso duomo di Modena. Uno spunto da cui partire per riflettere sulla condizione femminile nella storia, su queste figure di grande carattere, sull'essere donne, fino ad arrivare al "figlio della notte", quel figlio che ogni donna conosce ancor prima del "figlio del giorno" e cioè quello reale e persino sul desiderio di procreare da sè che la scienza sta rendendo possibile. Con Bodei, invece, si è riflettuto insieme sulla follia, sul delirio. Il delirio come un'altra realtà che vive di altre regole (i subuniversi di James), come logica del desiderio che non distingue più quello che è possibile da quello che è impossibile. Dunque considerare la razionalità come limite imposto al desiderio che poi si sfoga nel sogno o nei romanzi, come accettazione della rinuncia dell'onnipotenza dei desideri.
Pendevamo dalle loro parole, ogni frase come un piacere intimo e intenso. Il festival della filosofia di Modena, prima ancora che un incontro culturale è un incontro affettivo. Nascono piccole discussioni spontanee per le vie di questa città che è una piccola deliziosa Bologna, la gente sente la necessità di salire sul palco a fine conferenza e chiedere, ringraziare, abbracciare. Di tutto questo mi è rimasta qualche nozione in più, ma soprattutto un'immensa passione che illumina dalla borsa rosso fuoco che ho comprato per portare i tanti libri acquistati o solo desiderati fra cui le piccole stampe del festival, davvero leggibilissime anche per neofiti della filosofia come noi e: Che cos'è la filosofia di Deleuze/Guattari; un filosofo al cinema di Curi; Perché viviamo? di Augé e per finire Aristotele e il dinosauro e cioè la corrispondenza fra Nora (11 anni) e Hösle (un filosofo).

12 settembre 2007

Sfiorando il festival della letteratura di Mantova

Sono ancora poco fra queste pagine virtuali perché ho fatto del male a me stessa firmando una proroga al contratto. Quest'anno, più ancora dell'anno scorso, ormai a due, tre settimane dalla fine, mi prende maggiormente un enorme sconforto per quello che ho visto, per quello che sto vivendo. Ma questo discorso lo farò a tempo debito, per ora tengo duro e curo le mie tante ferite, fisiche e psicologiche, da lavoro a tempo determinato in fabbrica. Inoltre ho il cuore pieno di dolore e rabbia per l'11 Settembre: quello del 1973. Per quello del 2001, invece, ho visto tanta ipocrisia e disumanità nella faccia contrita di Bush, responsabile di quelle morti.
Nel cambio di stabilimento sono riuscita a ritagliarmi un paio di giorni insperati e a fare un salto a Mantova, al festival della letteratura.
Mantova ti colpisce appena la vedi oltre il ponte: il castello, la cupola della basilica, tutto il profilo della città vecchia abbracciata dai tre laghi in cui riflessi violacei fanno contrasto col verde brillante delle ninfee. Sul lungo-laghi qualche carrozzina, ragazzi che fanno footing, tante biciclette, un piccolo bar dove persone tranquille si godono bicchieri di vino freddo chiacchierando come fosse un giorno qualsiasi, quasi non ci fosse la tipica ressa da festival.
Poi il centro storico e un mare di gente fra il marrone mattone di Palazzo Ducale e il grigio dell'acciottolato su cui una donna con alti tacchi rossi non riusciva a camminare; magliette da turisti a sporcare di colore la bianca facciata della Basilica di Sant'Andrea. Le mie gambe stanche e la mia voglia di camminare, ascoltare.
L'ingresso ottenuto quasi per miracolo al piccolo teatro Bibiena: un teatro all'italiana con una strana pianta a campana, illuminato da fioche lampade che lasciavano il tutto semibuio; chiacchiere eccitate fra affreschi solo intravisti. Le persone che tendevano il collo oltre i palchetti all'ingresso di Luca Scarlini, alle sue spalle l'immagine bambina di Radclyffe Hall: il visino già contrito. Poi la vita della scrittrice inglese omosessuale come fosse uno spettacolo, fra parole, musica, teatro, storia, la storia della violenza subita dalle donne per ottenere i loro diritti, il duro braccio di ferro fra le suffragette e il governo inglese, gli scioperi della fame, il bisogno di libertà di Radclyffe e la sua messa all'indice da parte del suo stesso popolo. Uno spettacolo per la letteratura e contro l'ipocrisia, il moralismo borghese.
"E se foste voi l'unico uomo nel paese delle suffragette, allora sì che sarebbero cazzi!"
Il sole che si nasconde dietro il profilo cittadino e sfuma i colori dei laghi, accende piccoli fanali a dinamo, insinua nella nostra coscienza che è ormai ora di tornare.
Niente autostrada, quasi a illuderci che la giornata non sia ancora finita e il Bricco dell'Uccellone a bagnare una cena in un piccolo paesino sul Taro, quasi Po, vicino Colorno, con la campagna che ci strappa nuovamente alla città e il buio che ci ricorda che domani inizia un'altra settimana di lavoro, consigliandoci di respirare le ultime ore di vita di una domenica: aria fresca oltre il torrido caldo umido di una fabbrica di pomodori.