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17 novembre 2010

Appunti per una ricerca in corso, ovvero: "così impiegherei, se potessi permettermelo, gran parte del mio tempo"

Da quasi due anni sto lavorando su una ricerca che riguarda l'analisi dell'ambientazione del film. Inauguro oggi un sottocapitolo tramite il quale vorrei proporre il rapporto fra parola (orale vs scritta) corpo e oggetto (mi sono servita degli studi di Baudrillard per proporre un paragone fra "oggetto-reliquia" e "oggetto-utensile"). Il tutto dovrà essere inserito all'interno di un macro capitolo sugli interni del cinema del dopoguerra italiano d'ambientazione meridionale e contadina con un occhio sempre rivolto agli studi sulla cultura materiale e alla letteratura coeva (fonte di tanti film del periodo e legata al concetto di testualizzazione del visto).

A forza di sezionare e ferire i corpi pellicolari mi è capitato fra le mani un accostamento d'immagini che da solo dice di più di un intero trattato sul modo pasoliniano di esprimere il concetto di sacralità tramite il rapporto fra personaggio e ambiente. Tanto mi ha emozionato che sento la necessità di condividerlo:




Un insieme di citazioni, altrettanto commoventi se accostate, mi hanno spianato la strada e con esse intendo introdurre questa parte del lavoro:

In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo [...] E il Verbo si fece carne e dimorò fra noi
*(Gv 1,1-14).

A capo de tutto ce sta Dio, padrone de lo cielo, questo tutti ce lo sanno.
Poi viene il Principe de Torlonia, padrone de la terra.
Poi vengono le guardie de lo Principe.
Poi vengono li cani de le guardie de lo Principe.
Poi niente.
Poi ancora niente.
E poi ancora niente.
Poi venghene li cafoni
.
*[Fontamara - Carlo Lizzani]

- Noi non siamo Cristiani, - essi dicono, - Cristo si è fermato a Eboli -.

* [Cristo si è fermato ad Eboli - Carlo Levi]

14 novembre 2010

Lo spaventasoldati.

Al Museo, qualche giorno fa, durante una delle abituali visite-laboratorio con i bimbi delle elementari, stavo approfittando degli oggetti etnografici stratificati di senso, storia, fatica e povertà, per concretizzare di fronte ai ragazzi i termini per loro soltanto astratti di "guerra", "fame", "sfruttamento", "freddo". Questo, naturalmente, soltanto dopo le doverose spiegazioni sul ciclo del grano e sul lavoro dei contadini in generale, nonché sulla figura del loro nonno-maestro Ettore Guatelli. Ebbene uno di loro, che avevo notato ascoltare in maniera particolarmente assorta il funzionamento e lo scopo dello spaventapasseri, mi tira per la giacchetta. Mi abbasso per poterlo ascoltare e noto che il suo musetto si è fatto serio serio (di solito cerco di approfittare degli oggetti più strani per giocare con loro ed evitare visite boriose e quindi inutili). A questo punto il cucciolo aspetta pazientemente di aver catturato completamente la mia attenzione e poi mi dice: "signora maestra, non ti devi preoccupare, da grande io costruirò uno spaventasoldati". Non ho saputo trattenere le lacrime. C'è ancora speranza.

11 ottobre 2010

A Milano si compie un piccolo miracolo


Milano ci ha accolti, o meglio, Milano non ci ha accolti con la sua consueta grigitudine di sentimenti. Facce stanche anche di domenica, carestia di sorrisi e cortesia. Molti disperati nei tunnel della metropolitana. Come talpe ci siamo mossi sottoterra dal parcheggio al Piccolo Teatro. Le bambine che ci accompagnavano ci confortavano con il loro entusiasmo per ogni piccola cosa, per loro era tutto nuovo e ci ricordavano che nei nostri percorsi quotidiani non siamo più capaci di vedere quello che ci circonda e in cui possono nascondersi infinite sorprese e infiniti incontri.

Usciti dal tunnel della metropolitana abbiamo cominciato a vedere piccoli fiocchi di neve di carta, un percorso che ci ha portato, improvvisati segugi, fino alle porte del teatro milanese.
Seduti sulle rosse poltroncine si è sempre un po' in attesa che accada una magia, stavolta aspettavamo di respirare l'aria di un sogno. Quando Slava Polunin è entrato in scena, cappio al collo e sospirando forte nella sua gialla tuta da lavoro e nelle sue buffe pantofole rosse, noi siamo entrati in una bolla spazio-temporale di pura poesia e fascinazione infantile, idiozia dostoevskijana.
Un caleidoscopio di suggestioni si sono succedute lasciandoci sconvolti da tanta bellezza e da emozioni di tale struggente intensità da renderci partecipi di una realtà parallela, nella quale ci trovavamo, con una giusta dose di assurdo, pienamente coinvolti e pienamente coinvolti erano tutti i nostri sensi.
Una giusta dose di elio in una sfera illuminata con grande sapienza unita alla precisa consapevolezza di ogni movimento e di ogni espressione può materializzare un miracolo: angeli caduti che per levarsi da terra camminano sui trampoli; una storia d'amore con un vecchio cappotto; infiniti viaggi su velieri composti da nient'altro che una scopa e un letto; tempeste di sentimenti glaciali; ritorno a mondi magici d'infanzia che altro non sono che la sapiente capacità di mescolare ciò che di più affasciante il nostro meraviglioso pianeta ci offre; sketch della migliore tradizione mimo-clowneristica alla Marceu, alla Charlot; crudeltà e generosità gratuite, sogni e incubi; enormi tele di ragno ad avvolgerci come preoccupazioni da rimuovere insieme.
Fragilità, abnormità, malinconia, musica e silenzio, nostalgia, magia e poesia, bellezza, dolcezza e crudeltà, vita e silenzio, morte e parola in una domenica a teatro.

05 ottobre 2010

Attenti siam briganti!

Nasce il Dipartimento Partito Sociale di Rifondazione Comunista anche a Parma

Ai compagni presenti all’ultima riunione di coordinamento delle attività del neonato Dipartimento Partito Sociale del Partito della Rifondazione Comunista proporre un’iniziativa al circolo Matonge era sembrato perfetto: non vi sarebbe stato luogo più degno per un incontro sui temi della solidarietà attiva di un circolo ARCI gestito da un meraviglioso gruppo di immigrati. Franca e Romano, di comprovata esperienza nel settore alimentare e di militanza politica, si erano lasciati conquistare dall’entusiasmo del giovane drappello che aveva lanciato l’idea e, venerdì 1 ottobre, le provviste avevano cominciato ad arrivare sin dalle cinque del pomeriggio: chi portava una torta, chi cucinava la pasta o la spalla, chi si occupava del vino. La voglia era quella di ritrovare, insieme ad un nuovo modo di fare politica strettamente aderente alle necessità del quotidiano, il senso del profondo rapporto d’amicizia fra militanti. Attaccati ai telefoni cellulari si cercava di organizzare gli arrivi del coordinamento emiliano, era prevista partecipazione da parte delle Federazioni di Modena, Reggio Emilia, Piacenza etc. I compagni più anziani attendevano, un po’ sconcertati, di capire chi fossero i cosiddetti nuovi briganti e i gappisti in arrivo, cosa significasse nei fatti l’idea che la solidarietà fosse conflitto. Molti esprimevano dubbi e manifestavano curiosità verso questo nuovo progetto politico, dichiaratamente connesso alle pratiche del mutuo soccorso del vecchio Partito Comunista, del movimento operaio e dei contadini. L’interesse era concentrato sul modo in cui il progetto avrebbe potuto distinguersi nettamente dalle pratiche di solidarietà intesa in senso caritatevole ed intendesse, invece, rilanciare un discorso di lotta e solidarietà di classe contro le disparità apportate alla società dal sistema del mercato capitalista. Si attendevano con ansia i responsabili nazionali in arrivo dalla manifestazione di Bruxelles o dalla Toscana e i relatori delle associazioni del territorio parmigiano invitati per cominciare i lavori, fra cui Roberta Roberti de “La scuola siamo noi”.
A Francesco Piobbichi, Responsabile Nazionale Dipartimento Sociale PRC, è spettato il compito di aprire i lavori coordinati dalla segretaria provinciale del PRC Paola Varesi e di raccontare l’esperienza maturata su tutto il territorio nazionale negli ultimi due anni di militanza attiva. Tutto si è mosso a partire da un bisogno di rispondere alla recente sconfitta elettorale e dalla necessità di prendere atto di un allontanamento progressivo del Partito dalla società, rilanciando conseguentemente un modo di fare politica attento ai bisogni delle classi popolari. A seguito di questa prima spinta, successiva al congresso di Chianciano, si sono costituiti i Gruppi d’Acquisto Popolari, che hanno utilizzato lo strumento della filiera corta e del chilometro zero per combattere il carovita scatenato dalla speculazione sui prezzi dei generi alimentari da parte della grande distribuzione e hanno cominciato a lottare per la riconquista di una piena sovranità alimentare, oltre che costituire un progetto in grado di rispondere alla crisi dello Stato sociale. A seguito del terremoto d’Abruzzo sono scese in campo anche le Brigate di Solidarietà Attiva, che nel giro di una notte hanno smontato cucine da campo, tendoni e attrezzatura delle feste di Partito per portare aiuti ai paesi abruzzesi abbandonati dai campi-ghetti della Protezione Civile. L’esperienza si è estesa poi al sostegno, per tutto il corso della stagione di raccolta, ai braccianti di Puglia contro lo strapotere e lo sfruttamento a livello di schiavismo dei caporali sui migranti. Sono seguiti casse di resistenza permanente, barbieri popolari, dentisti sociali, sportelli di consulenza legale, mercatini del libro usato e corsi di recupero popolare che hanno dato modo di ampliare la discussione ai temi della distruzione del sistema scolastico a seguito delle politiche attuate dal nefasto governo Berlusconi e dall’assenza di qualunque forma di opposizione parlamentare. Le cifre parlavano da sole, ma ciò di cui premeva raccontare erano le persone dietro a queste cifre, dei diritti esigibili da queste. Dopo la testimonianza di Massimo Fiorentini a proposito dell’incredibile esperienza della rete dei GAP Toscani era presente a portare il suo contributo anche il Segretario Regionale PRC Nando Mainardi.
Commossa la testimonianza dei compagni di Parma, fra cui Francesco Samuele, Responsabile Dipartimento Lavoro, Welfare ed Economia PRC, provenienti dall’esperienza delle prime iniziative cittadine. Non c’era vergogna a raccontare i ringraziamenti delle casalinghe, dei pensionati, dei lavoratori che, per la prima volta dopo tanto tempo, si sono resi conto che i volantini che gli venivano proposti in occasione del mercato settimanale di quartiere non rappresentavano solo parole, ma fatti che riguardavano i loro problemi più vicini e proponevano soluzioni concrete. E così si è cominciato anche a Parma a parlare di solidarietà faccia a faccia, mettendo in comunicazione i quartieri popolari e i piccoli produttori della bassa sporcandosi le mani, spostandosi dalle sedi di Partito e incontrando visi, sguardi, sorrisi, stringendo mani. Animati da questo spirito i primi studenti, grazie al supporto di insegnanti professionisti completamente volontari e al Comitato in difesa della scuola pubblica, sono venuti a popolare i nostri circoli per i corsi di recupero scolastico gratuiti. A seguire la conferenza, durante la cena di autofinanziamento del progetto, fra il centinaio di persone che si sono incontrate in occasione di questa iniziativa si sono intrecciate piccole storie che si contrappongono alla Storia imposta dallo sfruttamento del potere e propongono modelli alternativi da praticare insieme immediatamente.

21 agosto 2010

Matàhr (la mia Gerusalemme)


Dopo tanto tempo una classica domenica mattina. Tante scadenze a settembre che provo a dimenticare per il tempo di due ore riconquistate. Socchiudo gli scuri cercando quella penombra appena sufficiente per leggere, cerco il respiro e il contatto della mia gatta nera, sfoglio il domenicale de Il sole 24 ore, momento che aspetto per tutta la settimana.
Nei muscoli delle gambe persiste la sensazione di strade polverose fra Basilicata e Puglia.
È impossibile levarsi Matera dagli occhi.
Uno stato di affezione permanente ne implovera i ricordi, coprendoli di una patina d'autenticità, di vita vissuta talmente spessa da poterci lasciare solchi, segni con il dito. E su questa superficie mi trovo ora a scrivere, in attesa impaziente del primo acquazzone che sciolga per sempre scritture in ambizione di eternità congelata per lasciare il posto a potenza d'oralità, di racconto stratificato, sinfonia di voci. Siedo alla mia scrivania poco convinta di trovarmi a casa e piuttosto renitente al lasciare fluire parole maturate in profondità come tuberi in una terra arsa dal sole e lavata dagli incendi.
Attraverso uno di quegli incendi appiccati per pulire i margini della strada siamo entrati a Matera e un incendio è stato il primo sguardo oltre la balconata panoramica. Perché a Matera entri senza accorgertene. Prosegui fra chilometri di nulla, in un meraviglioso paesaggio arido e ti ritrovi, d'improvviso, immerso in una spopolata periferia. T'inerpichi, svalichi e solo quando abbandoni l'automobile e svolti dietro l'ennesimo angolo t'accorgi davvero di Matera.
Matera è una città scolpita sul mondo e i suoi abitanti sono uomini e donne sconfitti.
Con tenacia e ingegno sono sopravvissuti dignitosamente alla povertà, alleati delle Murge e della Gravina, ma a sopraffarli è stata la ricchezza. Una guerra fulminea, chiamata legge del 1952, se li è portati via, ha corroso i loro ricordi di tufo fino al crollo, fino ai primi crolli e alla caduta nell'oblio delle tante cisterne pubbliche.
Per risolvere il problema delle misure igieniche e della mortalità infantile, ricchi uomini dagli occhi nascosti da lenti scure, venuti dal Nord, decisero che era tempo di murare le case, nascondere quella vergogna.
Furono venduti gli asini, non si sentì più schiudersi le uova sotto il letto, i ragazzini smisero di addormentarsi su caldi mucchi di letame. E il paese ora non suona più dei richiami delle madri, non ci sono vecchiette mezze addormentate davanti alla porta, in cucina le pareti sono bianche di calce, il fuoco non mostra il ricordo nerastro dei cibi preparati per undici figli, intorno al braciere non si raccontano favole aspettando che l'uomo torni dai campi. È morta la civiltà del mutuo soccorso.
Ma abbiamo incontrato Donato Cascione, la sua famiglia, il suo Museo. Donato che è stato costretto ad andarsene dai sassi da bambino e, per tutta la vita, ha sentito l'esigenza di ritrovare quei suoni, quegli odori, al punto da tornare nel rione quando era ancora roba da matti a salvare memorie da cui i materani erano stati sradicati, di cui erano stati costretti a vergognarsi. Un sigaro spento in bocca, grandi occhiali, una canottiera bianca e mani capaci sia di lavorare che di accarezzare a comunicarci la sua missione, a riportare il sacro a casa sua, a sentire il diritto di essere ormai stanco e sconfortato. Per terra trucioli di legno, fra le sua dita la corda a riparare la sella, polvere di pietra bianca.
E poi vecchi dipinti bizantini nelle chiese rupestri, ingegnosi canali di raccolta delle acque, sculture moderne che trovano il loro ambiente naturale fra antichi cunicoli di pietra e sussurrano ancora la storia di una grande civiltà uccisa a cui non è stato lasciato il suo tempo.
Il viso scavato di Pier Paolo Pasolini lo si ritrova dappertutto qui come lo si ritrova ad Alberobello e come s'intuisce lo sguardo di Luchino Visconti fra le commoventi esagerazioni del barocco consumato delle chiese di Lecce. Pier Paolo parla di dignità, umanità e bellezza. Lui che aveva capito riscatta quella vergogna e, poeta, realizza un'antropologia che è una lotta, che è ancora tutta da venire, persino tutta da concepire. La si scorge solo negli occhi di uomini come Donato (o come Ettore e Vittorio) e nei loro Musei che non sanno, o non possono, sopravvivergli. Edifici come casse toraciche dei loro cuori.

Voi udrete con le orecchie, ma non intenderete. E vedrete con gli occhi, ma non comprenderete. Perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile e hanno indurito le orecchie e hanno chiuso gli occhi per non vedere con gli occhi e per non sentire con le orecchie [P.P.P. da Mt 13, 10-17]

23 luglio 2010

Le mie donne

18 maggio 2010

Acqua bene comune

I comunisti sono belli come il sole :)

Firmate, firmate, firmate.
Ecco il sito nazionale del comitato promotore con le date di tutti i banchetti divisi regione per regione: www.acquabenecomune.org



08 maggio 2010

Fra bicchieri di rosso e altre amenità

Un bicchiere di cattivo vino da damigiana in offerta al supermercato è bastato a mettermi in quella ambigua amaro dolciastra condizione d’animo a cui aspirano normalmente i cattivi scrittori. Ho molto da dire e nessuna buona parola racchiusa nel cassetto per farlo. Mia madre ha appena finito di traslocare. L’ultima impressione della casa in cui sono cresciuta, io che mi nutro di ricordi, è stato il cattivo odore che proveniva dal frigorifero, lo spiacevole ritorno d’eco nelle enormi stanze vuote. Avrei potuto approfittare della temporanea impossibilità d’accesso alla rete – un fastidioso dipendente Telecom oggi ha già telefonato tre volte per ricordarci l’appuntamento di domattina – per disintossicarmi dai social network e godermi il piacevole e attesissimo indolenzimento muscolare da trasporto mobili, dopo mesi e mesi passati piegata su una ricerca in odore d’amore per il cinema e in sapore di niente che ha accresciuto notevolmente il mio peso corporeo più che la mia atrofizzata massa grigia. Mi verso un altro bicchiere, poi mi accingo alla pratica zen di rimetterlo, cucchiaio dopo cucchiaio, nella damigiana, perché mi rendo conto di aver sopravvalutato le mie scarse capacità di bevitrice. Il vino ha il colore dello sciroppo per la tosse che mi dava mio padre, medico, da bambina. La tesi ha prosciugato ogni mia insana avidità di scrittura. Mi sono laureata. Ho tenuto la mia prima lezione universitaria, mi sono immedesimata in un ruolo che il mio paese – e comunque le mie capacità e il mio grado di preparazione – non sapranno mai garantirmi, ma che ho potuto assaggiare (questo, sì, è vino buono) grazie a Loretta, che ho il privilegio di chiamare per nome. Sarà quel che sarà, le coincidenze fortunate della mia vita superano già la mia immaginazione. Ho scoperto che la mia generosità e la mia timidezza, nonostante l’ingratitudine e le notti in bianco, non sono necessariamente un difetto. Sono stata al Far East Film Festival e dal lontano oriente ho riportato con me Nakagawa (e Simone). Fra horror tailandesi, film sociali hongkonghesi, serie giapponesi sui gatti fantasma, ho scoperto che il cinema è una buona droga e che, a prescindere dai miei cinque anni di DAMS, sono una potenziale cinefila. Considerati i cinque anni di DAMS, invece, sono irrimediabilmente baziniana.
Il fantastico al cinema è consentito solo dal realismo irresistibile dell’immagine fotografica. È essa ad imporci la presenza dell’inverosimile, a introdurlo nell’universo delle cose visibili. (rinvenuta nello Schrader, mentre preparo gli esami di analisi di film, stavolta dall’altra parte della barricata). Mi sposo. Ve lo dico senza neanche andare a capo. Visto che, nonostante le richieste, non sarà nel modo più assoluto un matrimonio tradizionale, considerate questa come la vostra partecipazione. Sarà una festa agricola in un luogo in cui conservo almeno un buon quartino di cuore: siete liberi il pomeriggio del 19 giugno? Sarà festa grande a casa Guatelli: protagonisti arcangeli e zingare, nel cast artisti, cinefili, antropologi, professori, bibliofili, salami del Gruppo d’Acquisto Solidale, ipocondriaci, musicisti folli, gatti, comunisti. È inutile, ci ho persino provato, ma non so pensarmi senza di lui; che sia questione di trascendenza o d’immanenza poco importa.
E ora, scusate, ho un gatto nero da coccolare.

08 febbraio 2010

Le persone che amo.

Ecco cosa significa essere orgogliosi dei propri amici. Di chi, dopo tanti anni di lontananza, senti ancora vicino giorno per giorno.

Daniele a Santiago del Estero

01 febbraio 2010

Le parole, d'inverno, sono nuvole (un post ridicolo e un fatto serio).

Non so, fuori c'è la neve.
Mi hanno detto che siamo almeno dieci gradi sotto. Il padre di quel tale ricordava che in Siberia gelava la saliva così, se sputavi per terra, producevi un rumore quasi metallico.
Ghiaccio contro ghiaccio (Tlin!).
D'inverno le parole le vedi uscire dalla bocca e rimanere a galleggiare attaccate alle labbra. Le parole, d'inverno, sono nuvole.
Cento paia di occhi mi scrutavano da alti banchi di legno scuro.
Temevo un vuoto di memoria.
Tastavo gli appunti con le dita, un solco mentale entro cui far scorrere un filo di pensiero.
(Pitagora - Ippocrate. Pitagora...Ippocrate. Pitagora, Ippocrate)
L'aula, però, era calda.
La nuvoletta si è dissolta.
Poi, mi hanno detto, la voce si è incrinata. Dico "mi hanno detto" perché io non la sentivo, la voce; non ci sono mai stata, io, in Siberia.
Ma c'era lei che mi guardava. E, da casa, mi guardavano un po' tutti.
Avete presente le fiabe russe? Non si ha mai il vero senso della distanza.
Allora ho preso la rincorsa e mi sono buttata.

Mi hanno detto che era come se l'avessi sempre fatto. Mi hanno detto che dovevo essere marchigiana e che ci tenevano ad assicurare alla mia maestra che l'allieva è degna di lei. Questo, naturalmente, è impossibile. Ma occhi hanno ricambiato con attenzione la mia passione. Mi hanno ringraziata. E, a forza di allenare il cuore a saltare ostacoli, la pista si è un po' spianata. Ora, davvero, non m'importa che orizzonte ci sia alla fine della strada. Chiedo solo a voi, e alle mie scarpette rosse, di accompagnarmi ancora a casa.

(ho solo rotto il ghiaccio)