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14 novembre 2010

Lo spaventasoldati.

Al Museo, qualche giorno fa, durante una delle abituali visite-laboratorio con i bimbi delle elementari, stavo approfittando degli oggetti etnografici stratificati di senso, storia, fatica e povertà, per concretizzare di fronte ai ragazzi i termini per loro soltanto astratti di "guerra", "fame", "sfruttamento", "freddo". Questo, naturalmente, soltanto dopo le doverose spiegazioni sul ciclo del grano e sul lavoro dei contadini in generale, nonché sulla figura del loro nonno-maestro Ettore Guatelli. Ebbene uno di loro, che avevo notato ascoltare in maniera particolarmente assorta il funzionamento e lo scopo dello spaventapasseri, mi tira per la giacchetta. Mi abbasso per poterlo ascoltare e noto che il suo musetto si è fatto serio serio (di solito cerco di approfittare degli oggetti più strani per giocare con loro ed evitare visite boriose e quindi inutili). A questo punto il cucciolo aspetta pazientemente di aver catturato completamente la mia attenzione e poi mi dice: "signora maestra, non ti devi preoccupare, da grande io costruirò uno spaventasoldati". Non ho saputo trattenere le lacrime. C'è ancora speranza.

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