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19 dicembre 2007

Profusione di piccole perle di saggezza popolare

Lavorare in edicola può essere un'esperienza davvero unica. Nel mio caso si tratta di un'edicola di provincia, frequentata da molti anziani del paese: da vite che hanno conosciuto la campagna o la fabbrica, polvere sedimentata sui capelli, rughe a lasciare traccia di un dolore come pure di un sorriso, occhi abbagliati dallo scoppio di una bomba, cuori di bambini che giocavano con le armi, trovate nei boschi una volta finita la guerra. Queste ossa, questa pelle, questi organi bastano già - senza che fosse necessario l'accompagnarsi alle parole - a raccontare tante vite, come se in una sola di quelle non ci fosse già racchiuso il mondo intero. E allora tiro fuori lo sgabello annoiato nell'inutilità della sua presenza e lo offro a Maria, ai suoi piedi stanchi, al suo corpo ogni giorno più pesante da trasportare e ai suoi radi capelli bianchi nascosti dai fazzoletti in testa di una volta e lei, riconoscente alle mie orecchie disponibili, comincia a raccontare dell'unico viaggio della sua vita a guardare da lontano il papa, del suo golfino di lana di pecora magra, da povera gente, di fascisti e partigiani, di donne che partorivano al buio e, allo stesso tempo, m'insegna i suoni di questo dialetto estraneo.
Ieri pomeriggio, ad esempio, accompagnato da un forte odore di ennesimo rosso al bar dei contadini - dove il martedì, durante il mercato - ancora si canta, è entrato un uomo di 83 anni sofferti e goduti e mi ha spiazzata - io che mi sforzavo di non farlo sentire vecchio, casomai anziano - nel spiegarmi che è bello essere diventati vecchi, perchè non si è morti giovani!
Il gusto della provocazione e tutto il senso dei litri di vino condivisi fra parole mai annacquate in un bicchiere stracolmo, a macchiare - a perenne memoria - la tovaglia.

Un piccolo consiglio per i regali di Natale:
Io ho finito, quest'anno spesa piccola dal cuore grande... con calma ho ascoltato gli oggetti finchè sono stata capace di sentire i loro sussurri e, loro stessi, mi hanno suggerito a chi avrebbero voluto essere regalati :)

15 dicembre 2007

Vademecum per aspiranti scrittori

Non apro il blog da giorni, scoprendo il vero valore delle "emozioni virtuali" nella nostalgia di leggervi. Ma la gioia della prima neve ad addobbare gli abeti e i grigi edifici dell'uomo, seppure con tre misere parole, dovevo condividerla e doveva portare in qualche modo la ricchezza delle cose oneste. Con emozione e la sensazione di spiare dal buco della serratura, mi limito a riscrivere la prima pagina di un libro: "Il Taro e altre storie" di Ettore Guatelli, del cui museo ho già avuto modo di parlare, Edizioni Diabasis, Coop consumatori nordest. Reperibile qui. Ettore era un uomo semplice (maestro elementare figlio e fratello di contadini) e allo stesso tempo un artista coi suoi dubbi di stile, la sua necessità di raccontare, la sua creatività in cui le parole si mischiavano a pezzi di legno, ossa di maiale, fil di ferro a creare un giocattolo. Ettore era un uomo che parlava con gli oggetti e batteva a macchina nel silenzio del suo casolare di campagna, visitato di giorno da persone di tutto il mondo, fino a tarda notte. Nella prima pagina ho potuto "rubare" una serie di consigli fondamentali per chiunque sentisse l'esigenza di narrare, non scritti con questo intento. In particolare per quella necessità di "essenzializzare", togliere il ridondante, l'aggettivo in più, quel qualcosa di narcisista che inseriamo solo nel tentativo di farci fare i complimenti per lo stile a discapito del cuore, dell'idea, dell'intuizione, dell'emozione. La necessità dell'appoggio di persone amiche che, con più facilità, si accorgono del troppo e, meno coinvolti, meno sofferenti, riescono a ghigliottinare una frase vissuta [Nell'epoca degli effetti speciali, questa aderenza al contenuto sopra la forma, è un rischioso e fortemente umano andare contro tendenza]. E lo scrittore, in quanto tale, deve ricordarsi che non bisogna credere che una volta scritto qualcosa di valido, automaticamente, da quel momento in poi ogni pisciata è buona.
Il resto del libro sono visi, parole, situazioni, pensieri, descrizioni raccolte lungo il fiume da chi aveva la giusta sensibilità per farlo. Sono persone vive fra corpi di carta e inchiostro.

Ozzano Taro, 28 Marzo 2000
Cari Eugenio e Maria,
sono le 23,30, forse di più. Da dove scrivo, non vedo l'orologio. Se riesco a farmi dare, domani, da Clemente, il vostro numero di casa, spedisco subito. Ci sono le ultime pagine delle scarpe e del Taro. Passatene una copia ad Ilaria, anche se so che la metterò in imbarazzo. Mi ha assicurato che, indipendentemente dall'uso del CD Rom, le leggerebbe volentieri. Ho appena passato di corsa, e solo per una correzione facile e superficiale, le 72 pagine. Se fossi in forze e avessi voglia, taglierei, "essenzializzerei", come ho fatto col libro, in cui però ho visto che ho lasciato qualche aggettivo o altro, a occupare spazio e rendere meno snella la frase. Se vedete che si può, togliete voi. Ma tirate via anche gli episodi meno vivi, di cui si può fare senza ai fini del racconto, che non può tenere attenti per così tante pagine. Ho scritto anche quando ero stanco, per togliermi dai piedi queste scarpe e questo Taro che avrebbero voluto essere fatti di miei ricordi e di poche altre testimonianze, e che han finito per diventare più documentazione anche di esperienze o di ricordi di altri, legati al fiume, che non narrazione. Ho cercato di telefonare, stasera, martedì, ma non c'era neanche la segreteria, da lasciare detto di chiamarmi, appena tornati. Non credo di essere a livello stilistico del libro, dove credo di aver raggiunto un certo equilibrio, tra forma e sostanza. Ce n'è voluto però a mettermelo in testa. Ci sono volute le rabbie di Cusatelli, e le prediche affettuosamente insistenti di Clemente. Adesso bisognerebbe che non mi persuadessi che ogni pisciata è buona.
Passate una copia del tutto a Clemente. A Ilaria credo interessino solo le cose che ho scritto sulle scarpe. Sto crollando. Vi ripeto la mia gratitudine, per quello che fate per me, e anche tutto il mio affetto. Grazie, anche se è una ripetizione.
Ettore

09 dicembre 2007

Dalle pendici del Monte Rosa al lago Maggiore


Il nostro viaggiare ha inizio con una corona di montagne a impreziosire e proteggere il confine e i suoi onesti abitanti mani grandi, cuore caldo, bocca buona. Ci innamoriamo a prima vista della valle Anzasca, delle sue strade - dai piccoli balconi a invadere la carreggiata - accarezzate da rocce impregnate di odore di legna bruciata, di caminetto e funghi porcini. I nostri occhi golosi si appoggiano sulle case Walser, sui gattoni tigrati che schivano la prima neve, scuotendo la zampina bagnata, e si attivano desideri, immagini di vita sincera: una piccola libreria, parole scritte e parole parlate, un caminetto, le trote pescate il giorno prima al ruscello e fuori la tempesta di neve, a imbiancare il Monte Rosa. Penetriamo la valle fino a Macugnaga, sotto il tetto del Rosa che non riesce a proteggere il paese dal vento che sferza le tegole grossolane, gli scuri tetti d'ardesia, le pietre, le travi e le finestre abbellite con tendine di pizzo, dietro le quali casalinghe in odore di polenta e cacciagione aspettano il rientro di mariti pieni di grappa e chiacchiere mascoline acchiappate - in volo, neanche fossero farfalle - al bar. Mariti dai polmoni barattati col cibo per i propri figli nelle cave o dalle mani grasse di formaggio e di mucca. Un cielo completamente terso e illuminato da rive innevate - talmente luminoso da ferire gli occhi - viene sporcato solo da qualche aromatico sbuffo dei camini che accompagna la voglia di entrare in una di quelle case bollenti e chiacchierare con gente di montagna. L'atmosfera paesana e festosa dei mercatini di Natale si scioglie a contatto del turismo di massa, che tutto divora, e si schianta in terra fra mille pezzi di ghiaccio, quello stesso che gocciola al sole aggrappato con le ultime forze al bordo di un tetto. In trattoria un padre di famiglia parla di lavoro con i suoi anziani e divora, indifferentemente, una bistecca e un pesce grigliato. I bambini, fuori dal locale, tirano quattro calci al pallone.
Il primo panorama del lago Maggiore lo rubiamo a Verbania, sul lungolago. Di nuovo ci lasciamo coccolare dall'atmosfera dei mercati natalizi in una splendida villa, oltre un piccolo porticciolo da pescatori. Gli stessi pescatori che hanno appeso le reti alle case, per bellezza, e ora vivono di turismo, trasportando alle isole chi, come noi, è stufo di chilometri di alberghi e ristoranti. Il secondo giorno nuvole cariche incombono, si strizzano in pioggia, e gelano i colori di un meraviglioso paesaggio metallico. Fra i vicoli scoviamo due generazioni di bottegaie poetesse che, con una penna stilografica, lasciano deliziose parole tutte ghirigori a impreziosire i regali che con gusto scegliamo in un piccolo ambiente colmo di oggetti d'altri tempi, per portare un piccolo pezzo d'emozione a casa. Nonostante tutto il lago ci delude, lo splendido paesaggio è assediato da paesi curati, ma identici e talmente sfruttati da suonare finti. Forse perché è ancora fresco il ricordo delle stradine coi muriccioli di sasso a picco sul lago di Como o la riva ovest del Garda e il paragone danneggia il Maggiore.

Quel che non riesce a dire la penna ve lo dico (qui) con gli occhi.

07 dicembre 2007

Sentimenti sparsi raccolti prima di un'altra piccola partenza

Nella sala d'aspetto della stazione di Bologna - stuprata dalla bomba - resiste ancora la simpatica figura di un anziano signore, sempre mezzo assopito, che, seduto sul suo sgabello troppo alto, col gomito appoggiato ad un piccolo tavolino e il mento a sua volta appoggiato alla mano dalle dita gonfie, aiuta i viaggiatori a leggere i - peraltro chiarissimi - orari del treno grazie al suo vocabolario ambientale di lingue. Forse annaffia, ogni tanto, la piccola stella di Natale che qualcuno ha posto in memoria della strage. A lui, adesso, e soltanto a lui, vorrei chiedere la storia dell'uomo investito dal treno per Venezia che ha accumulato mezz'ora e una vita di ritardo.
A fianco a me una donna sfoglia riviste di gossip e lancia qualche rapida e ansiosa occhiata alla telecamera, dietro la quale ci spiano moderni dèi fantocci il cui braccio dovrebbe essere più veloce del frammento infinitesimale di tempo che innesca la bomba, sirene che dovrebbero superare in decibel l'assordante clic che precede l'attimo dello scoppio. Natale a Gerusalemme.

Abbiamo cominciato ad intervistare giovani donne. Ho comprato un registratore vocale col quale ho salvato storie senza odori, ma di grande sapore, e rumore di caffè. Rispolvero i miei incontri momentanei, nascondo la timidezza sotto maglioni pesanti e sorrido, desiderando ardentemente il racconto e di raccontarmi a mia volta. Scopro veramente l'antropologia e me ne invaghisco. Scopro che cosa desidero e parlo con chi fa quello che amo, collaborando con loro, lasciando crescere amicizia saporita e stima. Sbobino per ore, attivando papille gustative ad ogni sfumatura nei toni di voce, fino ad avere prurito agli occhi. Attraverso la pianura fino a portare la panda grigia sporca a cozzare contro le prime, improvvise, colline. Canto.

Ma il tempo, il tempo chi me lo rende? Chi mi dà indietro quelle stagioni
di vetro e sabbia, chi mi riprende la rabbia e il gesto, donne e canzoni,
gli amici persi, i libri mangiati, la gioia piana degli appetiti,
l' arsura sana degli assetati, la fede cieca in poveri miti?

Domani parto per il lago maggiore, mi lascio proteggere la schiena dal Monte Rosa, stupisco per la creatività degli artigiani improvvisati dei mercatini di Natale e di certo non resisterò a comprare un altro paio di orecchini e chiacchierare con le mani che li hanno creati per portarmi via, in un sacchettino di carta colorata, pietruzze e passato.

04 dicembre 2007

Premio nazionale di poesia "La poesia onesta".

Con tutto il dolce peso dell'emozione, oggi mi ritrovo a parlare di un concorso e di un'associazione che hanno significato tanto per la mia vita e che ritengo di qualità e umanità senza pari.

La poesia onesta, la poesia sincera, quella che non ha bisogno di fronzoli, termini aulici o esibizionismo, ma vive di briciole di umano, fiato, silenzi, sguardi, sussulti del mondo. Il poeta onesto, quello che - dice Saba - "mira al giusto equilibrio fra sentimento e arte, contenuto e forma", fissando i limiti della tecnica sulla passione che viaggia con e nella storia, nelle immagini che si sente la necessità di raccontare. Il poeta onesto, quello che apre occhi puri, occhi di cuore e d'intestino sul mondo.

L'associazione culturale "La Guglia" di Agugliano (AN) che, da molti anni, si è distinta nel settore culturale organizzando concorsi letterari, rassegne teatrali, pubblicazioni, gite sociali, laboratori arrivando ad aggiudicarsi persino la medaglia d'argento del presidente della repubblica, per la quarta edizione indice il concorso nazionale di poesia "La poesia onesta" patrocinato dai comuni di Agugliano, Camerata Picena e Polverigi, dalla provincia di Ancona e dalla regione Marche. Si può partecipare sia in italiano che in dialetto. Sono previsti premi in denaro e pubblicazioni ma, soprattutto, il concorso può vantare un'ottima giuria composta da poeti e docenti universitari, che ne garantiscono l'alto livello. Per partecipare c'è tempo fino al 16 febbraio 2008.

Non posso fare altro che consigliarvi, col cuore, di partecipare e rimandare al link col regolamento e i risultati delle precedenti edizioni.
Tutte le informazioni necessarie le trovate raccolte qui
Per il resto non posso che augurarvi in bocca al lupo, soprattutto a chi è alle prime esperienze letterarie, mettersi alla prova in certe iniziative di qualità assicurata è molto importante per un futuro poeta, confrontarsi con altri emergenti e professionisti garantisce una crescita fondamentale. Spero di vedervi chiacchierare con gli organizzatori che saprete di certo apprezzare come meritano fra le vie del mio paesello natale.
Per qualsiasi altra informazione, comunque, io, ma soprattutto loro ci sono, troverete tutti i contatti che vi servono sul sito che vi ho linkato sopra e che compare nella barra di destra del blog.