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26 aprile 2007

Racconti di Bosnia

Curiosare fra bancarelle di libri usati o invenduti da anni, nel profumo di fogli ingialliti, fra visi curiosi ed appassionati, molto spesso porta ad una crescita culturale e umana inaspettata. Ti può capitare di ritrovarti fra le mani un libro di Ivo Andrić, premio nobel 1961 per la letteratura.
A doverlo descrivere la prima parola che viene in mente, la prima facile definizione è che si tratta di un "libro vero". Amo profondamente il neorealismo e quelle espressioni artistiche che davvero hanno saputo indagare il reale (i tanti reali) cercando di mantenerne l'autenticità, senza pretesa di rendere accattivante il discorso con facili sfoggi eruditi. Andrić usa quasi parole dimesse, dure e spoglie come la terra che le ha ospitate e ispirate. Parla di una terra sofferente, sfruttata, conquistata, sporcata da innumerevoli padroni stranieri di violenza e sangue, di fame. Parla di un'umanità dolente, superstiziosa, assetata. Usa metafore tangibili, ponti bianchi e perfetti ma fuori contesto che uniscono confessioni in equilibrio precario sempre sull'orlo del baratro dell'intolleranza reciproca. Sono storie senza inizio e senza fine. Spesso, dopo il fatto particolare, tutto ritorna come era partito. Non ci si deve aspettare il finale a sorpresa a cercare il lettore.
Con questo libro, di cui mi aveva conquistato il titolo prima di ogni altra cosa, sono tornata per l'ennesima volta in Bosnia, a Sarajevo, una città che amo come fosse casa, una guerra, solo l'ultima di quella regione sfortunata, che vedevo oltre il mare, per cui ho iniziato a soffrire, che ha formato la mia coscienza. Ho rivisto i segni delle granate, la natura ostile, un mare che è una burla, i problemi in frontiera, i soldati che pattugliano strade, i fuoripista mortali, ma anche la voglia di rinascita, il senso dell'ospitalità, la musica, la meravigliosa e viva cultura dell'est, i sapori speziati, il mio primo contatto con l'oriente, la voce che dal minareto s'infila nei vicoli. Ma di questo ho già scritto nel blog e non vi annoio oltre. Se avete voglia di un libro sincero, di una realtà tremenda che si concede anche l'attimo di ironia, di un'umanità ponte fra mondi analizzata a fondo con strumenti perfetti, un non luogo di incredibile varietà, provate a leggerlo. Io in questa nottata di studio, di fusa e rincontro con la mia casa fornovese avevo voglia di consigliarvelo e di provare a passarvi la partecipazione con la quale ho affrontato quelle pagine così diverse dalla nostra comune sensibilità letteraria.

E domenica partiamo per Amsterdam; porto indietro fotografie, rubo scorci di realtà olandese. Ormai lo sapete che sono una vagabonda, non posso farne a meno!

E allora latcho drom guccia! E a rivederci al 5 Maggio cari amici.

25 aprile 2007

25 Aprile 2007


Appena sveglia guardo il calendario per avere conferma dei sentimenti che provo: 25 Aprile 2007.
Orgoglio e sconforto.

18 aprile 2007

S.Anna di Stazzema


A Sant'Anna siamo arrivati dal mare. Ci siamo inerpicati per strette stradine di montagna che ci hanno fatto rapidamente scalare 600 metri di dislivello. Ma il mare non lo abbiamo mai lasciato, continuava a guardarci dal fondovalle. Dopo gli ultimi tornanti un paesino di quattro, cinque case, una piazza dove non giocano più bambini, un tabacchi che ha ricavato 3.50 € con una decina di turisti, una legnaia e una chiesa. Posti belli da togliere il fiato. Poi si arriva. Appena scendi dalla macchina la prima cosa che ti colpisce è il silenzio. Non il silenzio dei posti tranquilli, immersi nella natura e isolati, ma un silenzio veramente assordante, il silenzio che lascia la guerra, la follia, l'odio. Li senti quegli scarponi di cuoio nero che rincorrono piedi scalzi, li senti gli spari, le grida in tedesco e quelle in italiano: non solo SS come vogliono farci credere, ma anche fascisti, italiani che torturavano e uccidevano altri italiani. Più volte si è cercato di nascondere in particolar modo questa verità, ma a Sant'Anna è scritta con parole di ferro che resteranno per le generazioni a venire.
Anche i fiori su questo monte faticano a sbocciare, si aggrappano alla terra che li risucchia come ha risucchiato 560 vite, ma poi sbocciano ancora con più forza ed escono al cielo di viola e di giallo intensi.
La vita dei superstiti rimasta bloccata al 1944.
Un sentiero ripido fino a 560 nomi iscritti nel marmo, tutto quello che rimane di quelle vite. Nessuna parola, commozione e (secondo noi) nessun possibile perdono. Memoria.






Come sempre, altre foto qui.
Per riuscire a leggere cliccarci sopra.
Come sempre sono tutti miei scatti, ma le foto di visi di anziani che si trovavano in esposizione nel museo fanno parte del lavoro di Oliviero Toscani "Sant'Anna di Stazzema 12 Agosto 1944. I bambini ricordano". Libro che vi consiglio.

15 aprile 2007

Il nostro locale preferito: pequeño mundo, casa.


La guitarrera que toca tiene en la frente un dolor:
Su risa se fue en los ojos de un guitarrero andador
la guitarrera que toca tiene labios sin color:
El rojo se fue en la boca de un guitarrero cantor.


Sullo sfondo di una così dolce serata il nuovo album degli Inti-illimani, musica lieve e profonda, testo pura poesia. Nuova strada comunque testimone di un passato non pietrificato.

Poi...

Labbra spente; un lieve e deciso profumo di vino sul sughero; colore.
Una fiamma leggera; odore di cera bruciata; sottile filo di fumo.
Passi di danza; tonfo secco su tavole di legno perso nel ricordo.
Pallido riflesso di luna; morbidezza di pelle bianca al tatto leggero di una carezza.
Una promessa.

Fissare un momento a parole mentre già ti sfugge fra le dita.

Amarone della Valpolicella

13 aprile 2007

Petizione pro ricerca e iniziativa pro cinema

Permettetevi di scocciarvi ancora con una petizione e una segnalazione.

1) La petizione: Mille euro ai ricercatori.
Riguarda lo stipendio dei dottori universitari. Si può vivere con 800 € al mese dopo aver studiato anni e anni? Anzi, si può vivere con 800 € al mese? Non sarebbe ora di cominciare a tenersi da parte questi famosi cervelli in fuga? Per loro e per lo sviluppo del nostro paese. Ho trovato la notizia sul blog di Radiant e vi rimando direttamente al sito che ospita l'iniziativa http://www.dottorato.it/milleeuro/ dove trovate tutto il necessario per regalare questa importante firma.

2) La segnalazione: Selfcinema.
Ieri sera, mentre cucinavo, ho sentito una voce conosciuta provenire dalla televisione, accesa sul TG regionale. Dalla bocca di Manzoli apprendo che si sta organizzando una splendida iniziativa: adottare film di qualità che non arrivano nelle nostre sale, sia perché sperimentali sia perché, pur essendo rivolti al pubblico, sono penalizzati dalle strettoie del sistema distributivo. In pratica si tratta di comprare il biglietto in anticipo per garantire l'incasso ad alcune sale che accettano di proiettarlo e poi, se il film merita, prosegue la sua strada da solo. I donatori sarebbero avvertiti sulla data della serata e, in caso la proiezione non si riuscisse ad organizzare, verrebbero restituiti i soldi. 6 € per aiutare un potenziale capolavoro. Trovate tutte le spiegazioni necessarie e le città coinvolte in questo sito: http://www.selfcinema.it/home.html

11 aprile 2007

Pasqua al Museo Fratelli Cervi


C'eravamo già stati, ma il museo fratelli Cervi, visitato una volta, diventa casa. Immerso nei campi rossi, a Gattatico, ci si arriva dopo chilometri di vera pianura padana. Stradine strette con gli incroci a novanta gradi, canali che le costeggiano, grano verde fin dove arriva l'occhio, cielo azzurro macchiato di nuvole, mare di vento. Poi vecchie sedi del P.C.I. fra paesini abitati da gente semplice e cordiale. E' Pasqua, ma non abbiamo dubbi, siamo sicuri di trovarlo aperto. Arrivati, infatti, ci accoglie Cin, che conserva fra calli, rughe, sapienza di cose agricole e di battaglia, il nome della sua brigata partigiana. Cin che ci dedica il libro appena comperato e che ci chiede di scrivere sul libro degli ospiti se la guida, lui stesso, meritava. Sempre Cin, che appoggia le sue mani stanche su attrezzi agricoli dimenticati dal tempo, sorride nel vedere che può ancora insegnare qualcosa, prende confidenza e agogna domande che, ben presto, arrivano a fiumi. Ci conquista subito la dolce guida, ci lasciamo trascinare da lui, quasi senza sosta, come se fosse ansioso di farci vedere, in tutte le stanze del museo. Riscopriamo che i Cervi, decisi di cambiare il loro stato di vita e forti di tante braccia, abbandonano la vita da mezzadri e affittano un podere dove, fra i primi, portano un trattore: il famoso trattore con il mappamondo, regalo della ditta scelto da loro in quanto curiosi di vedere altri luoghi. Leggono i Cervi; leggono di storia, letteratura, economia. Ci immergiamo con strumenti d'epoca o all'avanguardia tecnologica nella storia e nella loro vita, fra le loro cose, nelle loro stanze. L'impegno politico diventa sempre più forte, sempre più scoperto, troppo scoperto. Molte persone si nascondono nella casa dei Cervi, vi si organizza la resistenza. Si festeggia la presunta fine della guerra regalando pastasciutta a tutto il paese (cosa che si ripete ogni anno a Luglio). Ma la vendetta non tarda a venire, i Cervi cadono fra i primi. La furia fascista arriva in quella casa felice, in quella famiglia unita dove non c'è ricordo neppure di un litigio e, dopo aver appiccato fuoco, gli uomini vengono portati via, strappati al calore delle mogli, ai piccoli figli. A Reggio li dividono, Alcide chiede di rimanere coi figli ma i sette ragazzi, insieme a Quarto Camurri, che nascondevano, vengono fucilati al poligono di tiro. Il vecchio Alcide riesce a scappare a seguito di alcuni bombardamenti e, una volta saputo il fatto, è costretto a resistere al dolore. Unico uomo rimasto deve portare avanti la famiglia, il lavoro. I figli sono morti, ma hanno lasciato vedove e orfani. Dopo un raccolto ne viene subito un altro. Alla casa verrà dato fuoco altre due volte, la madre non reggerà e si lascerà morire di dolore un mese dopo l'ultimo incendio.
Ma al museo non c'è solo Cin, ci sono molti volontari, tra cui un giovane uomo che ha parlato con molti sopravvissuti alle torture fasciste e naziste ma non riesce ancora a raccontarle. In anni di lavoro avrà di certo parlato con tanti gruppi di visitatori ma, davanti a noi, di nuovo, gli scendono le lacrime, la voce si spezza e non è più in grado di dirci oltre. Subiamo un duro colpo anche noi, convinti di aver letto a sufficienza, presuntuosi di conoscere, seppure solo attraverso i libri, quell'inferno. Non è così, in quelle parole interrotte riusciamo ad intravedere un dolore che si spinge oltre l'umana immaginazione. Quell'uomo s'indigna del revisionismo di questi anni, ci passa la verità per amore del ricordo, è orgoglioso delle tante splendide iniziative di questo museo vivo, dell'enorme biblioteca.
Non riusciamo a deciderci ad andarcene. Sentiamo il bisogno di ringraziare ancora, stringere mani, ascoltare il suono dell'acqua della fonte che abbeverava gli animali in quel cortile dove finalmente regna la pace, in quei luoghi che hanno contribuito a costruire quello che siamo. Vorremmo fare qualcosa. Ci giriamo per l'ultima volta ad osservare il viso profondo di Alcide, solcato da sette rughe come sette cicatrici, a guardare le medaglie che non gli hanno restituito i suoi figli, a immaginare i passi di danza di quei ragazzi prima che la bestia dell'uomo gli piovesse addosso, la loro sete di giustizia e libertà.
A Campegine guardiamo il marmo rosso delle loro tombe (Il revisionismo si commenta da solo: Vespa nel suo orribile libro Vincitori e Vinti ha scritto che è bianco) e poi saliamo in macchina, con la Gang in sottofondo, non riuscendo ancora a parlare.
























Link museo Fratelli Cervi

02 aprile 2007

Giornata di fine inverno alle cinque terre


Sabato sera eravamo fermi su una piazzola di sosta, dopo aver visto un brutto film al cinema (La masseria delle allodole) e stavamo ascoltando il rumore della pioggia sulla lamiera della mia pandina grigia. Io guardavo le luci che si riflettevano sulla strada bagnata fra le goccioline che scivolavano, impotenti alla forza di gravità, lungo il finestrino. Dopo qualche minuto la vista ha cambiato fuoco, smettendo di perdersi lontano fin dove i palazzi le permettevano di spaziare, e mi sono ritrovata a vedere il vetro. A sentirlo freddo con gli occhi e poi con le dita, che avevano preso a disegnare piccole onde tutte uguali, fino a riempire tutto lo spazio appannato. Così ho capito che avevo bisogno di mare e ho dormito un sonno impaziente fino a svegliarmi presto, accanto a Gabriele, la mattina di domenica. La pioggia ci ha accompagnato fino alla Cisa, confine fra mondi, poi ha cominciato a fare caldo, a smettere di piovere. Superavo e mi rimettevo in prima corsia, mentre l'autostrada, dopo aver valicato, tornava ad essere rettilinea, osservavo un mondo ancora non troppo convinto del cambio di stagione, una luce metallica fra nubi che andavano diradandosi lentamente. Scorrevano nell'indifferenza paesini abbracciati dalle Alpi Apuane. Sulle cime l'ultima neve cercava di tenersi aggrappata, nonostante la pendenza, nonostante quelle coste risaputamente insidiose. Sapevo di dover tenere quella strada fino alla fine, fino al golfo e alle ciminiere. La città, La Spezia, si lasciava attraversare senza eccessivo traffico, l'ultimo weekend prima di Pasqua. Finiti i palazzi affrontavamo la strada che scavalca la montagna e, quasi troppo in fretta, eravamo fra montagne scoscese e aride, terrazzate e adornate di pini, ulivi e viti, cariche all'inverosimile di limoni, una stagione incredibile per questi frutti invernali, che trovano ricovero in questa isola climatica del Nord. Il pensiero, scusate la banalità, a Montale, ossi di seppia fra le onde gentili di un mare vicino e inaccessibile. Nostra destinazione era il Groppo, un mucchietto di case colorate che si tengono l'una all'altra per non scivolare, casette attraversate da vie scavate e strette. L'insegna che seguivamo, non prima di aver dato un'occhiata dall'alto, seguendo un sentiero usato dai contadini, quella del ristorante "Cappun Magru", specialità Manarolese. Un isola di pace e di sensi, due piccole stanzette, sei, sette tavolini, una donna gentile, delicata, sensibile, leggera. Il sapore del mare, per la prima volta, sui nostri palati estasiati e inizialmente timorosi. Poi miele e delicatissimo formaggio. L'immancabile De André nel cuore di quella donna, tedesca ma con dodici anni di Groppo nella vita, un amo a cui appendere un bocciolo di conversazione. Poi, per la seconda volta nella mia vita, Manarola che ci apriva la via al mare. Prima la piazza dove bambini giocavano a palla e liberavano bolle colorate, con scalette e borghi, panni stesi, odore di pini e di bucato, di mare e di erba, poi anatre d'acqua salata, pochi turisti, alcune foto svogliate. Sonno fra storie da bambini di anziani pescatori. Sogni di case sferzate da onde, dalla tempesta. Il caldo sole ligure sulla pelle insieme all'aria salata. Dolce sonnolenza fra ricordi di altri e sciabordio di una nave vuota che si allontanava, pigra, dal piccolo molo.




Altre foto le trovate qui.