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31 gennaio 2008

Ho svestito la notte


Finiti gli arresti domiciliari torno ad avere cielo sopra la testa.
Si sa, gli studenti dormono a lungo, la scusa di dover riposare molte ore per riuscire a studiare tutto il giorno è sempre buona. Ieri mi sono alzata alle cinque - in realtà mi capita quando sono di guardia in edicola e porto i giornali di cassetta in cassetta, postino notturno - e mi sono buttata contro un muro di nero, contro l'umido buio della notte. Spiragli di vita oltre finestre che si accendono, profumo di cappuccino ad evadere da un bar ancora chiuso, serranda a metà. In stazione poche persone ferme sotto pozzanghere di luce, lo sguardo ad accarezzare i binari lucidi su, su con l'immaginazione verso la montagna e poi lungo il solito viaggio fino alla città addormentata, senza mai staccare lo sguardo dal gelido ferro animato da vibrazioni via via sempre più forti. Ho violentato il silenzio col rumore metallico delle monetine d'oro a schiantarsi nella pancia della macchinetta automatica, una donna di colore, con la borsa delle pulizie, si è voltata a guardarmi, le ho sorriso.
Il mio sguardo preoccupato si è fissato su un enorme lampione stradale, sole artificiale.
Bologna, materna, mi ha accolto spingendomi in mezzo ad un grasso corpo di folla che defluiva dalla stazione, mentre i negozi a poco a poco si aprivano e i commessi laureati lustravano vetrine cariche di voraci oggetti in saldo. Il mio dipartimento, a piedi, è un pò lontano, ho avuto tutto il tempo di nutrirmi di nozioni e tensione, di spiare donne scomode fermarsi a desiderare viaggi di carta prima di morire in ufficio e d'infilarmi in chiostri estranei a godere degli organi vivi di questa città da intellettuali, cantanti (intellettuali-cantanti) e buongustai. Di osservare i primi studenti assonnati trascinare il peso delle nozioni lungo corridoi sporchi di cultura.
Il terrore dell'esame, appena in aula è rimbombato il mio nome a schiaffeggiare le pareti bianchissime sopra le quali domina un meraviglioso affresco, si è sciolto nel piacere di raccontare e tutto è andato bene, anche stavolta.
Stamattina tolgo strati di piacevole fatica dalla pelle e dai pavimenti. Sgravido la mente dal racconto che la gonfia, scalcia e spinge. Nutro il mio parto di cibi unti e grassi.
La tesina sarà pubblicata online, cosa che mi ha riempito di gioia più delle due cifre del voto, metto il link appena disponibile e nel frattempo continuo a sognare di morire di fame facendo ricerca e scrivendo, mentre i progetti si moltiplicano e il tempo, a poco a poco, sparisce. Ma, domenica, vado a soddisfare i miei occhi golosi a Vicenza: dopo il Farnese di Parma e il Teatro all'Antica di Sabbioneta finalmente mi posso godere l'Olimpico di Vicenza, meravigliosa famiglia. Intanto leggo (e vivo) Oblomov.

25 gennaio 2008

Riempirsi gli occhi di acqua: da Castellaro Lagusello a Borghetto

Proviamo a stemperare il dolore (ma non la giusta rabbia!) del post sotto a questo e recuperare alcune sensazioni già fin troppo evanescenti...


La luce del sole può rendere bella anche la pianura, corpo anoressico di donna, in luci e colori che solo l'inverno, acquerellate dalla nebbia. E si può capitare in un paese dove alla mattina ci si sveglia e si lasciano cadere i pensieri nel fiume, appena sotto la finestra, quegli stessi pensieri che animano il mare, altrimenti piatto, di onde. Tempesta di fantasia. Lasciare che un cane ti accompagni per borghi e si rattristi della tua partenza, cercando di conservare fra i denti un tuo guanto, guardarlo morire dalla voglia di mangiare vita e bere, per impazienza, da pozzanghere cupe. Galline e santi incastrati nelle mura, pizzi imprigionati nelle tende, alle finestre.

Scatti

E' proprio il caso di dire: Buon anno!

Ieri sera mi dolevo. Poi mi sono chiesta per cosa mi stessi dolendo e ho capito che lo spettacolo televisivo di cavalieri redivivi e prodi coraggiosi era riuscito ad annebbiarmi non solo la vista, ma pure il cuore. Ho spento la televisione e mi sono guardata intorno e sapete cosa ho visto? Ho visto i precari, ho visto l'università massacrata dalla riforma Moratti, ho visto la ricerca e l'aborto in pericolo, ho visto le leggi di Berlusconi godere di piena salute e brindare a lunga vita, ho visto la Bossi-Fini ancora in vigore, ho visto le lotte ai lavavetri e ai rumeni cattivi, ho visto gli sgomberi ai campi nomadi, ho visto le truppe in Afganistan, ho visto persone morire di lavoro e la classe operaia perdere la solidarietà (ho raccontato piccole storie ignobili), ho visto la mafia in politica, ho visto il centrosinistra massacrarsi da solo con la creazione del PD e cadere pur senza un briciolo di opposizione degna di chiamarsi tale che da mesi abbaia solo alla fine del governo senza proporre nulla, ho sentito scandalosi servizi giornalistici, ho visto una sinistra radicale non chiedere nulla, tacere e tenere su. E allora ho capito che non mi stavo dolendo per la caduta del governo, come credevo, ma per quelle scelte coraggiose e indispensabili che non si sono prese e che in Italia non si prenderanno mai. Ricordo, come al solito andai a votare (e convinsi ad andare a votare) contro me stessa (e la mozione del mio partito che i paletti non li aveva ottenuti), già delusa non solo dalla coalizione, facile essere delusi per questo, ma anche dal mio partito suicida, da quello che, si sapeva, non avrebbe chiesto e quello che la base, invece, voleva. Cominciò abbastanza bene col ritiro dall'Iraq, finì come tutti sapevamo che sarebbe finito.
Lasciatemi spendere altre due righe per quei ragazzi di Genova (noi trecentomila ormai volenti o nolenti siamo e saremo per tutta la vita i reduci di quella follia, come i sopravvissuti di Reggio Emilia e Carlo, invece, con i morti) che si faranno la galera per cospirazione politica! Associazione sovversiva! Attentato allo Stato!!! Se si potesse fare una lista delle porcate di questi ultimi anni questa sarebbe la più grossa. Ce li lasciamo andare in galera questi capri espiatori? Non c'è attacco più grave di una lesione profonda ai diritti civili che viene da stato, forze di polizia e magistratura insieme.
E pensare che ieri passeggiavo contenta per le vie di Bologna, con la mia ricamata pergamena di laurea in braccio, a cullare uno sforzo di anni con cui potrei fare coriandoli (per non dire carta igienica), felice per aver passato un altro esame di questo corso di studi che non finisce più, che sfinisce nella ripetizione ossessiva di corsi, tesi, tesine, tirocini, laboratori, crediti e debiti, che mi ha tenuta lontana dalla politica, cosa che neanche le botte e le denunce...
Cosa serve al paese si è visto con la manifestazione di Ottobre, è la spinta centrista e vaticana (scusate la ripetizione) che non permette le riforme sociali, l'avanzamento culturale ed economico del paese. È così che i DS diventano PD e rifondazione diventa DS. E io non sono né pidiina né tantomeno DS.
E mi hanno criticato tante volte per essere "idealista" che poi chissà che vuole dire... piena di contenuti invece che di lotte di potere e poltrone? Comunista? Perché, che altro rimane da essere, politicamente, in questo paese?
Amen, che altro si potrebbe dire in Italia?

22 gennaio 2008

Allenarsi a morire, allenarsi a vivere. Diceria dell'untore di Gesualdo Bufalino

Immagine di Diceria dell'untore

"Certo, fossi stato sicuro di non lasciarmi dietro a ogni passo le mie lumacature e polluzioni d'untore, non sarei rimasto a covare nel pagliericcio la febbre come una cimice, ma sarei sceso a consumarmi fra la gente, in fretta, ero troppo vigliacco per morire a rate. Questo nei primi mesi, poi alla esistenza smozzicata degli altri finii con l'assuefarmi, e dal loro consorzio non volli più disertare. Con essi ho spartito, all'ombra della stessa bandiera gialla, ogni elemosina dell'ora, tutti gli inganni e i disinganni delle loro carriere, benché non la fine repentina che le concluse. Ma se di tanti io solo, premio o pena che sia, sono scampato e respiro ancora, è maggiore il rimorso che non il sollievo, d'avere tradito a loro insaputa il silenzioso patto di non sopravviverci."

Per la seconda volta ho potuto amare queste pagine. Tastarle con gli occhi. Godere di un gioco di parole a creare una perfetta sinfonia di significato. In una terra che è il nucleo denso della bellezza del mondo - la Sicilia - un untore conserva in un sanatorio le sue polluzioni mortali fra la vergogna di morire e quella di sopravvivere, scartati dal mondo e da Caronte. Oltre uno stile ineguagliabile - poche storie potrebbero tenere con fatica il passo della diceria - un significato che penetra la carne e arriva a sondare la più intima delle interiorità umane; riflessioni filosofiche meditate come piaghe da decubito e espulse come tosse, scaturite dall'attesa della morte. Sapori antichi a mischiarsi con scale mobili, milioni di germi di storie in un'opera densa.

18 gennaio 2008

WebCinema

Questo post vuole essere, quasi esclusivamente, una raccolta di link che voglio condividere con voi.
WebCinema è anzitutto narrare, nell'accezione più ampia del termine. Vive della fusione fra il cinema tradizionale, la videoarte e le caratteristiche (interattività, immersività, automazione, modularità...) proprie di internet. Manovich lo identifica come un new media object e, come un luogo appena scoperto, vive delle sperimentazioni di artisti-esploratori che, nel raccontare, si fanno aiutare dagli utenti (non più solo spettatori) e dall'alto grado di isomorfismo. Insomma, se Dario Fo fosse nato una cinquantina di anni più tardi, invece di testare le proprie capacità di contastorie nel suo appennino, forse avrebbe scelto come palcoscenico delle sue sperimentazioni il vostro desktop.
Vi chiedo di dedicare a voi stessi pochi minuti, andare in apnea dalla fretta della vita contemporanea, e concedervi una passeggiata in questi mondi sintetici.

Doverosa la citazione del libro: WebCinema. L'immagine cibernetica di Luca Barbeni, da cui ho tratto il percorso che vado a proporvi

Per primi i lavori di Peter Horvath, un artista canadese che, grazie alle pop-up windows (esattamente quelle che firefox disabilita automaticamente e che quindi dovete attivare per il sito in questione), costruisce un racconto fra il sogno, la questione dell'identità personale, la memoria. Sovrapponendo, intrecciando finestre e immagini provenienti dai libri, da riprese autobiografiche, dall'infinito archivio della rete, propone opere (non interattive in questo caso) altamente suggestive, fatte di penombre, d'invito alla riflessione, di uno sguardo rivolto verso l'anima, l'essere.

A seguire The Tulse Luper journey la creatura di quell'artista multiforme che è Peter Greenaway, o meglio il solo gioco on-line di un progetto che si è sviluppato fra teatro, libri, installazioni, dvd, serie tv ecc. e prodotto dalla Submarine Channel. Una storia interattiva che svela frammenti di video solo una volta superati novantadue giochi che aprono altrettante valigie e svelano a poco a poco la vita di Tulse Luper attraverso il XX secolo. Integrata una piattaforma che permette agli utenti di scambiarsi informazioni.

Se volete esplorare un'isola virtuale, invece, provate Island.8081 di fabbricazione tutta italiana, perdetevi nel bosco, rilassatevi nella valle, lasciate che un pesce vi spieghi lo spirito dell'ambiente, catturate le sensazioni e gli stati d'animo che il gruppo 8081 vi propone.

Oppure perdetevi fra le centinaia di microvideo randomici, l'intera rappresentazione della cultura enciclopedica del web a "casa" di Philip Wood

In ritardo sul tempo si può scoprire anche cosa è stato un incredibile progetto ora chiuso chiamato wirefire, progetto che prevedeva performing dirette di una coppia di artisti (entropy8zuper), belga lui, americana lei, tramite uno specifico programma che trasmetteva immagini e suoni scelti sul momento e permetteva contatto diretto con gli spettatori tramite web cam. Dal link che ho inserito si possono raggiungere molti altri lavori interessanti della coppia fra cui il "videogioco d'autore" The Endless Forest per non lasciare l'immaginario dei bambini solo nelle mani del commercio.

Concludo con un esempio di videoblog sentimentalmente antropologico e dall'interessantissima struttura: Il videoblog della Notte della taranta a difesa della tradizione, del locale. Consiglio in modo particolare il microvideo sul pane.

Buona stimolazione sensoriale...

13 gennaio 2008

Utopia di luce perfetta a Bastia


Ci sono giorni di luce perfetta in cui le Alpi Apuane da una parte e l'appennino emiliano dall'altra ti pizzicano i fianchi con le cime innevate e t'invitano a saziarti di vita al punto da non aver più voglia di mangiare. Dimentichi le silhouette di fantasmi di cose, oltre un muro di nebbia buono solo per i ricordi, ricordi di dita d'anziana avare di sensibilità a raccogliere faticosamente l'ultimo pezzo di verdura gelata dallo strofinaccio un pò logoro, frusciando di un rumore gentile e morbido, consapevole che se la memoria avesse un suono sarebbe quello, e accogli immagini nuove e talmente nitide da pungere gli occhi. Aculei di luce al peperoncino. Il giro di boa delle mie prime 10.000 foto - il cui zero scattato da una carissima amica lontana il giorno della mia laurea - me lo regala Bastia, trecento metri sopra il mondo. Un cumulo di case tutte vicine alle pareti possenti del piccolo castello a scaldarsi dal gelo dell'inverno che spezza il cielo in frantumi di nuvole. Ipotesi di mare oltre alberi secchi rifugio di partigiani. Sfioriamo terrazze di ulivi carichi di anni, curve dalla traiettoria impossibile, visi diffidenti intravisti oltre finestre che imprigionano immagini, per permettere al nostro sguardo goloso di scendere fino a valle, accarezzando la terra umida e fertile, ripido capriccio di passi senza padrone. Alberghi scrostati in un temerario tentativo di turismo impossibile, ruggine e muschio. Cadaveri di ricci di castagne fra le ruote di un vecchio trattore suicida. Una donna che porta del fieno al suo cavallo grasso mentre un uomo dai calzoni usurati riattizza il camino e ci spiega come preparare focacce nel testo indifferente al fatto che il suo cane attende ansioso un cenno della mano fra il pelo ispido, impolverato. Camminano insieme, lasciandoci memoria dei loro passi, invitando le migliaia di muscoli del nostro viso a tendersi in una smorfia di sorriso.
Respirare vita pulita a domeniche alterne.

Link alla consigliatissima Locanda del Grillo, vicino Aulla (qui) e prigione per raggi di sole (qui)

Comunicare mondi piccoli e costruire il mondo a più mani

Di nuovo in piena fase da studi sulla comunicazione di massa mi ritrovo, per l'ennesima volta, a discutere con McLuhan, come se lui avesse voglia di discuterne con me, di forma sopra il contenuto e mezzo come messaggio.
Ma, da un anno a questa parte, lo faccio come una che si è presa la briga di fare comunicazione di massa e trasformare quello che erano annotazioni assolutamente private fra sicurezza d'inchiostro, in annotazioni pubbliche in incertezza di memoria di bit. E, davvero, ho dovuto dare ragione al buon vecchio esperto, non per nulla. Noi blogghisti, in modo particolare, facciamo del mezzo un messaggio, se è vero che per la maggior parte dei casi il blog si caratterizza come uno strumento di diffusione di ricordi e esperienze (o opinioni) personali. Dunque è il mezzo a veicolare il contenuto e sta a noi utilizzare la forma per rendere interessanti significati di per se privi d'interesse per la maggior parte delle persone che si trovano ad entrare nelle nostre pagine. E questo cammina a fianco del nostro bisogno ossessivo/compulsivo di comunicare e comunicarci. Qualcuno ha scritto che ormai identifica i miei post con i piccoli mondi di guccia, mondi di per se stessi, appunto, insignificanti, ma dove io ho trovato l'indispensabile e, con i pochi mezzi stilistici a mia disposizione e soprattutto il mezzo blog, cerco di comunicarveli. Davvero la forma veicola il contenuto? Faccio fatica ad ammetterlo, ma più il buon vecchio McLuhan ribatte più devo cedergli campo. Del resto il gioco stilistico di Bufalino ha prodotto un'opera dal pulsante cuore di carta.
Magari, con la tecnologia, possiamo recuperare quello che la tecnologia ci ha tolto. Ritrovarci di nuovo a scegliere, per mezz'ora, in un chioschetto all'ombra di un duomo, una cartolina in base alla persona a cui vogliamo spedirla, senza farci mangiare dalle migliaia di scatti di una macchina fotografica digitale. Ritrovare il gusto di scegliere un punto di vista unico sulle cose e di annusare l'odore dei ricordi svilupparsi in una camera oscura. Guardare dalla finestra, invece che nel monitor, persone svolgere sui marciapiedi il film della loro vita. Sporcarsi le dita d'inchiostro, leccare un francobollo.

E ora provo a comunicarvi un'altra storia piccola (e grande) di paese. In un paese della provincia di Parma c'è un edicolante, un edicolante che vende giornali e regala parole, sorrisi, opinioni e consigli. Gli si rivolgono per trovare compagnia in una società sempre più frenetica e spersonalizzante, per avere un'opinione sincera sulle cose, anche a costo di aspri litigi. Lui sa andare oltre la prima impressione sulle persone e ha capito subito che una signora dura, corazzata dalla povertà, ha in realtà un cuore di burro. Una signora sempre vestita di nero e col fazzoletto in testa, a nascondere agli altri i pensieri e i ricordi, la sua più grande ricchezza. Lei, colpita dalla sua gentilezza, si è fidata di lui, ha scoperto che si può fare da soli, ma insieme è meglio. Tutti i giorni l'edicolante, prima dell'alba, le porta a casa il giornale di provincia che legge, unica distrazione che riesce a permettersi con una pensione che le ruba anche il pane. L'altro giorno l'edicolante è passato di fronte alla casa che solo a ottant'anni è riuscita a comprarsi, con l'aiuto del fratello, dopo una vita a farsi tagliare la gola dall'affitto, e il giornale non era stato ritirato. Parole pesanti come macigni restavano appese al portone a segnalare una richiesta d'aiuto. Hanno sfondato la porta e vi hanno trovato la signora, che era in terra da due giorni senza riuscire ad alzarsi per i suoi problemi di mobilità. Parole scritte e parole parlate l'hanno salvata, l'ha salvata togliersi il velo e condividere il suo tesoro di esperienza con qualcuno pronto e ben felice di ascoltarla, un generoso vampiro di emozioni.
Una società che permette certi livelli di solitudine è una società persa in partenza. Il fatto che ognuno di noi ha un compito non dovrebbe avere niente a che vedere con l'economia, né con la soddisfazione personale o la carriera (vi rendete conto quanto sono inutili come concetti?), ma con la costruzione di qualcosa a più mani.

P.S.: per aggiungere confusione al disordine dei pensieri: andate a vedere Meduse. Il film che avremmo dovuto fare sulle donne. Non un capolavoro (ma servono i capolavori, poi?), un film (e qui qualcuno digrignerà i denti) onesto, con rari sprazzi di poesia e alcune concessioni mirate al cervellotico discorso da critici.

06 gennaio 2008

Desiderio di una vita in sapore d'essenziale (A Vigoleno)


Da dietro la finestra illuminata della taverna, a destra nella foto, vi osservo (sorrido) e scrivo...

Guance rosse fra tavoli consumati dalle tarme, grandi, da stare seduti tutti insieme. Goccia di latte, nuvole nel thè, promessa dello zucchero di canna e briciole di punteggiatura nera (e di crostata fatta in casa). Una coppia che si scalda accanto al fuoco che brucia lento odori aromatici. Botti, paiolo da polenta e cassapanca. Ombra di cranio di Cervo. Bambini che fanno i compiti di geometria e ridono con la madre, che serve allegria d'uva nei bicchieri, fra pentole di rame appese alle pareti e spettacolo eterno di vecchie marionette fra le travi del soffitto. Cuore di maestra. Impettiti fantasmi di fagiani e d'antenati, fra lumini ad olio con stoppini consunti.
Vigoleno è un paese da gatti e da presepi, da ultime ore di agonia di lucine natalizie e ultima neve a sciogliersi in torrentelli sull'acciottolato. Scheletri di riflessi sul vetro e bottiglie da pensionati in cerca di compagnia. Luci oltre le finestre a colonizzare il buio della valle. Melodia di campane - di calore a scaldare, sulla tazza, mani congelate - e di ricordo di colori che via via si spengono, mentre fuochi sotto alle stoviglie s'accendono e accendono nasi.
Respirare pura vita (di ogni giorno) e lasciarsi sfuggire lettere e parole dalle mani come spiccioli. Pensieri come un colpo d'ala di un bianco, enorme, airone a dominare la valle. Finite le feste si mangiano mandarini trovati nella calza, povera, della befana.

(Qui) le solite radiografie.

02 gennaio 2008

La terra dove finisce la terra


Quest'anno abbiamo rinunciato al rito pagano dei fuochi nel cielo e risparmiato le forze per spenderle, il giorno successivo, ancora una volta, in terra di Liguria...
Perdonatemi un altro post in puzza di neorealismo e pittoricismo, questi giorni non ho forze, né tempo, per provare ad esprimermi diversamente


La Liguria è sempre un'esperienza in bilico fra sacrificio e aspra bellezza. Punta Chiappa è una terra sospesa sul mare, dopo la fatica del sentiero facile ma ripido; a piedi da S.Rocco l'impressione è di essere arrivati in una terra di confine, linea fra mondi. L'orizzonte, oltre il golfo a protezione delle case che scivolano fin sulle spiagge e sulle ultime rocce, è talmente vasto da poterlo immaginare rotondo.
La Liguria è terra che fiorisce anche d'inverno, ma fa sudare i suoi frutti sospesi grazie alla mano e al ferro arrugginito dell'uomo in terrazze, perfette, e sassi conquistati, come conquista la guerra, da muschio e minuscole piante grasse.
Odore di pesce oltre la piccola pieve immersa nel verde che non lascia spazio, e gatti dietro angoli stretti rubati alla montagna, in attesa fuori dai ristoranti e sotto il campanile: oggi pasto ricco anche per loro.
Oltre i panni stesi, su seggiole di legno d'altri tempi e fra corde usurate dalla fatica, ci si aspetta di vedere un vecchio pescatore riparare le reti, in questo giorno di riposo, in un luogo dove il tempo non ha potuto trasformare oggetti e abitudini, dove la vita va ancora guadagnata pesce su pesce, in un gioco di fiducia e sfiducia fra mare, vento e nuvole. Non si può resistere alla tentazione di spiare dentro finestre illuminate e calde, fra case a cui non è concesso arrivare che a piedi o in barca. Luoghi sacri dove il ricordo sopravvive al tempo. Ma le barche riposano, oggi, come la gente di Camogli, e mostrano tutto il tempo passato in mare, scolorite dalla salsedine. Lungo la riviera dei ricchi, lontana solo pochi chilometri e tanta vita, ci si scalda nei locali affollati e vaporosi d'alcool.
Fra le rocce e i muri a difendere dai capricci del mare i frutti ormai maturi dei fichi d'india, le macchie verdi dell'edera a sfidare la forza di gravità, gli ultimi raggi di sole a creare linee di fuoco oltre il mare color argento e a infilarsi fra i magazzini, nelle grotte, fra l'allegria dei galleggianti.

Anche stavolta ho rubato un raggio di sole per fermare, in un fantasma d'immagine, il tempo speso bene. Il risultato di tanto egoismo lo trovate qui.