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31 ottobre 2008

Contro il decreto Gelmini: corteo di Parma e (fin troppo) veloci riflessioni politiche


Qui tutte le foto che ho scattato giovedì 30 ottobre alla manifestazione di Parma contro il decreto Gelmini. Per quei ragazzi che, probabilmente, le stanno cercando.
Solidarietà per Yassir Goretz, compagno di rifondazione in stato di arresto a seguito degli attacchi fascisti al corteo di Roma preparati e gestiti a monte.
Parma, una città che ha una meravigliosa tradizione culturale è, tuttavia, ormai a ragione etichettata come una città snob, chiusa e razzista. L'intolleranza si respira soprattutto verso extracomunitari e meridionali ma anche, in dosi ridotte, verso chi non è emiliano o addirittura verso chi non è parmigiano. I vigili picchiano. Si fa repressione.
Parma, insomma, non è più da tempo la città delle barricate.
Nonostante questo un buon movimento di persone si è potuto vedere anche qui. Segno che, finalmente, comincia a filtrare l'idea che certe battaglie si debbano compiere a prescindere dall'orientamento politico, perché sono necessità che riguardano tutti (e non che l'orientamento politico debba escludere alla partecipazione, ma di questo parlerò fra poco). Da registrare, però, c'è il fatto che l'università sembra ancora addormentata e la stragrande maggioranza dei partecipanti riguardava gli studenti medi. Anche se, soprattutto nella facoltà di chimica, qualcosa si muove.
Per prima cosa ho notato una grande disorganizzazione all'interno di questo interessante movimento. Si urla a più voci l'apoliticismo (andare contro le decisioni di un governo, si sappia, è politica), l'apartitismo a tutti i costi, senza considerare che i partiti sono strutture (è vero, alle volte fin troppo burocratiche e che, come nel caso di Rifondazione hanno commesso errori politici che sono stati, però, ampiamente riscattati dall'ultimo congresso che ha finalmente riavvicinato il partito alla base e alla gente) che hanno acquisito notevole esperienza e un loro appoggio può essere notevolmente utile. Insomma non si è capaci di chiedere un permesso per una manifestazione, si chiede a Rifondazione di farlo e poi si insultano i tesserati che scendono in piazza con le bandiere: un controsenso mi pare. Tanto più che, a mio modo di vedere, i partiti della sinistra vera dovrebbero avere tutti i diritti (innanzitutto perché lo prevede la democrazia) di partecipare a questa protesta che li vedeva schierati fin prima della riforma Moratti. Sul diritto politico (non democratico) di parteciparvi del PD ho già qualche dubbio in più e consiglierei di andarsi a rivedere i decreti Berlinguer a proposito di scuola e finanziamento alle scuole private tanto per capire da dove parte il ciclo che ci ha portato direttamente alla Gelmini.
Ho partecipato e continuerò a partecipare, pur sentendomi quasi esclusa per la mia convinzione politica, a questo movimento, ma mi auspicherei che la protesta si diffondesse anche su altri temi. E non si tratta solo di solidarietà, di non protestare solo per quello che ci riguarda più direttamente (per questo mi aspetterei proteste almeno contro il precariato - non solo quello della ricerca - tanto più che gli studenti si presume e si spera diventino giovani lavoratori), ma si tratta di vere e proprie emergenze ambientali e democratiche che riguardano tutti, nessuno escluso. A quando le mamme con le carrozzine in piazza per proteggere il pianeta allo stremo che deve ospitare i loro figli? E' già passato alla camera il pacchetto che riguarda il ripristino del nucleare in Italia senza che sia ancora stato risolto il problema delle scorie, senza che sia incentivata la ricerca sulle fonti di energia pulita già oggi in grado di sostenere il nostro fabbisogno energetico, praticamente senza che i media ne parlassero (dov'era il PD? E dov'era quando il governo ha approvato l'articolo di legge che destina la gestione dell'acqua pubblica ai privati tanto per fare un esempio?).
Abbiamo avuto ronde di fascisti pilotate dall'alto ad attaccare i cortei pacifici di protesta (ribadisco che mi piacerebbe riparlare con certi ex-diessini oggi, a proposito della loro lettura dei fatti di Genova) o a invadere le sedi Rai. Abbiamo un'emergenza Rom che l'unione europea ha sancito come gravissima a livello di distruzione di un'intera popolazione. Ieri sera il TG2 ha detto la parola fascismo almeno dieci volte; si ritirano fuori vecchi filmati d'archivio dove Togliatti si volta a guardare Stalin per dimostrare che i comunisti sono cattivi; si esalta lo statista Mussolini; Gelli è in TV; si tagliano le gambe alla piccola editoria per avere finalmente una mono voce sostenuta con piacere e compiacenza da una grande mono opinione pubblica; si parla di sangue e repressione poliziesca... E mi vengono a dire che il movimento deve per forza essere apolitico. Mi sento male.

28 ottobre 2008

Strimpello due note di solitudine in vostra compagnia

Una giornata di semi libertà dopo tanti giorni passati agli arresti domiciliari di libri che non ho scelto di leggere. Di che mi lamento? Li ho amati lo stesso ed è sempre un privilegio poter ancora permettermi il lusso di studiare a tempo (quasi) pieno. Sarò un po' lenta oggi a mettere insieme delle parole, ma per niente al mondo rinuncerei a quella mano sotto la pancia della mia gatta nera. Lunga, scura e lucida come un fiume di notte. Le sento il cuore, la sento viva. Sono io a farle le fusa, che nella vita bisogna innanzitutto essere capaci di dare. Io e i suoi occhi giallo-verdi guardiamo le anime ancestrali che sono rimaste imprigionate fra le crepe - le rughe - di questo appartamento lontano dal mare che abbiamo iniziato a consumare insieme ormai sette anni fa.
Piove. Non so più per quanto tempo ho aspettato la pioggia. C'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo. Io guardo le nuvole gonfie e le strizzo col pensiero, perché non esiste nient'altro al mondo che sappia creare in me quello stato naturale di lieve malinconia che mi riempie di voglia di fare. Da sola. Goccia inchiostro sul foglio, picchiano le gocce alla finestra. Ed è un suono che porta lontano: mi sento piccola piccola in viaggio su una foglia rossa che si è appena staccata dal ramo e va a colorare il grigio marciapiede. Talmente piccola da bagnarmi in fiumi che scorrono nelle linee della tua mano.
C'è quel mare troppo lontano, che durante l'ultimo viaggio era in burrasca. La schiuma bianca a gareggiare in luminosità con le nuvole a macchie. E dietro a tanta intensa e lacerante bellezza non poteva che esserci l'est. La minaccia di una nuova guerra, i soldati, le macerie e poi quella letteratura e quella musica (la mia), quel caldo pane profumato a scaldare le dita in una bettola di Sarajevo.
Vi ripropongo per l'ennesima volta un pezzo del lungo e pericoloso viaggio di un uomo dentro se stesso e in un paese lacerato, dove la trageda rimane dietro la nebbia perché il cinema non ha mezzi per raccontare tanto orrore. Un uomo a salvare fantasmi di memorie visive. Perché il cinema, la fotografia fanno parte del nostro album di famiglia mondiale. Mi piace, da quando ho letto un post di Marina, pensare che viaggiamo tutti sulla stessa astronave.
Sopportatemi, oggi va così e basta.



Poi mi è tornata agli occhi questa inquadratura e mi sono di nuovo emozionata. Un uomo con un bagaglio di vita troppo pesante per poter volare. Ma che avrà comunque saputo salire in alto nella maniera più umana possibile. Sono i peccati a dare concretezza ad un'anima. E noi, impietosi voyeur, impietosi amanti del cinema, stiamo lì a guardarlo nascosti dietro la finestra. Nudo. Lui che ha vissuto, noi che sopravviviamo.



Stasera esco, dentro quel maglione blu sformato. E appendo alle orecchie i soliti vecchi cerchioni di rame portandoli fra le gente come si porta una bandiera.

23 ottobre 2008

Quando democrazia è fascismo

Vi chiedo un attimo di pazienza. Un articolo davvero importante che mi è giunto attraverso la newsletter dell'ernesto, la rivista della terza mozione del mio partito. Questa è la nostra democrazia. Non mi stupisce (ero a Genova) ma ho comunque la pelle d'oca. Ormai si possono persino permettere di dirlo ad un giornale.

DO YOU REMEMBER GENOVA 2001?

«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno (...) ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città (...)dopo di che, forti del consenso popolare (...) le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. » (Francesco Cossiga)

Di seguito l’intervista completa pubblicata su Nazione – Carlino – Giorno del 23 Ottobre 2008

di Andrea Cangini

PRESIDENTE Cossiga, pensa che minacciando l`uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato? «Dipende, se ritiene d`essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché l`Italia è uno Stato debole, e all`opposizione non c`è il granitico Pci ma l`evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figuraccia».

Quali fatti dovrebbero seguire? «Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno».

Ossia? «In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito...».

Gli universitari, invece? «Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».

Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».

Nel senso che... «Nel senso che le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».

Anche i docenti? «Soprattutto i docenti».

Presidente, il suo è un paradosso, no? «Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».

E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero. «Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l`incendio».

Quale incendio? «Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università. E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale».

E` dunque possibile che la storia si ripeta? «Non è possibile, è probabile. Per questo dico: non dimentichiamo che le Br nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo».

Il Pd di Veltroni è dalla parte dei manifestanti. «Mah, guardi, francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama...».

Non andrà in piazza con un bastone, certo, ma politicamente... «Politicamente, sta facendo lo stesso errore che fece il Pci all`inizio del- la contestazione: fece da sponda al movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com`era logico, nel mirino finirono anche loro cambiarono radicalmente registro. La cosiddetta linea della fermezza applicata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla... Ma oggi c`è il Pd, un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed è anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente».

21 ottobre 2008

Più che altro disordinato cinema (e troppe parentesi).

Più che altro alcune riflessioni che è più facile ritrovare qui che nel vortice di lettere nere in corsivo nervoso e quadretti della mia moleskine. In fretta. Sul poco cinema goduto in questi ultimi tempi.
Ho voglia - in particolare - di segnalare un film semi-nuovo: The dark knight di Christopher Nolan (sì, è il regista di Memento) titolo che agli appassionati di fumetti suonerà di certo "milleriano". E dai fumetti voglio partire, proprio io che di fumetti non me ne intendo molto, ma che con un'immagine di Batman (post anni '80) ci sono cresciuta. Me la ricordo ancora la mia prima volta al cinema: avevo sei anni e mi accompagnavano i miei zii. Ero uscita talmente affascinata dal film (il Batman di Burton dell'89) - e dal cinema: quel buio illuminato da mondi fantastici a cui sembrava, per qualche ora, di appartenere - da chiedere, timidamente, di poter portare a casa un gadget: un cappellino nero con il logo inconfondibile del pipistrello giallo sulla visiera e il paraorecchie! Così ho conosciuto questo supereroe complessato e borghese - la sua immagine stuprata dal merchandising sfrenato di Hollywood - ma anche filantropo e generoso (talmente convincente da farci quasi credere che esista un capitalismo buono). Di lì una piccola collezione di volumi sul pipistrello, quel poco che più o meno abbiamo tutti. Finita la pellicola di Nolan, dunque, mi sono sentita derubata. Mi è sembrato di intuire che - se il commercio non avesse vergogna di ingurgitare anche i sentimenti - questo dovrebbe essere l'ultimo film su Batman: quel personaggio invecchiato che - edajela con Miller - il ritorno del cavaliere oscuro aveva resuscitato. La psicologia dei personaggi, infatti, è talmente curata da svelarne nei dettagli l'immensità, la profondità che li rende non più esseri di carta trasposti sul grande schermo - nella vita - ma corpi pericolosamente caldi. Dunque il film rompe il piacere inconscio che mi catturava nei fumetti da ragazzina e mi rende conscia della loro grandezza. Un cattivo - penso al Joker naturalmente - che, come unica arma, usa la sua incredibile intelligenza; che si rende invulnerabile perché non corrotto nè dal denaro, nè dagli affetti e tanto meno dai ricordi, da una storia personale. Superiore a un Batman che perde - in quanto costretto a percorrere sempre l'unica strada che il Joker gli lascia aperta - e a cui Nolan toglie l'ultima maschera. Un Batman - Dio (colui che tutto vede, tesi supportata dalla scelta di Freeman nel ruolo del suo aiutante, attore che ha già interpretato Dio in "Una settimana da Dio": e il cinema che si auto-cita) costretto a lasciare il mondo che, egoisticamente, per un impulso personale, protegge. Un film dove un Dio martire scappa e vengono a cadere tutte le categorie morali e politiche del bene e del male (penso in particolare alla scena altamente metaforica delle navi dove, fra l'altro, è aspramente criticato il sistema democratico). Non si rispettano neppure le categorie di diritto e rovescio, il cinema esalta la propria superiorità ottica nei confronti dell'occhio umano e ribalta l'orizzonte. La sceneggiatura è una sceneggiatura di ferro, senza una macchia, intertestuale e dialogica nel senso più ampio del termine (sì, sto studiando per l'esame di Quaresima). Non solo citazioni in puzza di vecchio post-moderno, ma un lavoro a 360 gradi sull'intero panorama culturale. Non esplosioni, ma lavoro fino: camion ribaltati da un cavo d'acciaio invece che da un bazooka: un'opera spettacolare che dosa l'effetto degli effetti speciali, perché non è quella la sua forza. Un film che lascia l'amaro in bocca, che da in pasto allo spettatore solo minimi contentini qua e là per prepararlo alla batosta finale: Batman - almeno quello cinematografico - è stato svelato e non è più necessario, viene riconsegnato al mondo del fumetto con il bambino che, alla fine, lo vede scomparire e grida all'ingiustizia. Quel bambino siamo tutti noi che, almeno una volta nella vita, abbiamo amato Batman e - ammettiamolo - un certo tipo di (in)giusta società.
Poi Pranzo di ferragosto senza pretese (?), ma delizioso. Come a dire che si possono fare dei bei film anche con gli scarti di lavorazione (il neorealismo lo faceva, no?) e che oggi non bisogna essere per forza postmoderni. Come a dire che si può barare per far entrare un documentario a Venezia fra i film di finzione, l'olimpo del cinema, per non ghettizzarlo in mezzo ai generi di serie B (si sente che sono baziniana?). Falso sporco e in realtà curato fotograficamente, forse con troppa compiacenza nell'uso dello sfuocato in rapporto alla profondità di campo. Troppo realista quando fa vedere le anziane vecchine che sputazzano - la forza dell'imprevisto al cinema e la mosca sul viso della Giovanna d'Arco - mentre parlano? Commovente la sua capacità di ritrarre un piccolo mondo difficile con la giusta dose di ironia.
Infine Wall-E dove ritrovo lo spirito guatelliano (persino lo scarpone!) e la necessità di comunicare che la prima rivoluzione è quella ambientale (contro il Mercato del consumismo sfrenato). Quello della Pixar sempre più sembra un lavoro di resistenza (a partire anche dal delizioso, solito, corto iniziale) che riesce ancora - in parte - a non farsi disneyzzare del tutto (perché Disney ha bisogno di "cinematizzare" la computer graphic per non scomparire) e mantiene uno spirito sovversivo. Mi pare di aver scovato un difetto di sceneggiatura - o un obbligo di produzione - in rapporto al tema del valore dei ricordi che contamina irreparabilmente la conclusione. Ma i titoli di coda col loro potere politico (la cultura è politica) riescono a sciogliere il mio scoramento prima che mi alzi, per l'ultima volta in queste settimane, dalla poltrona rossa e dal mio insano amore.

13 ottobre 2008

11 ottobre: diario a quattro mani.

Ci alziamo la mattina dell'11 ottobre che è ancora buio. Ci mettiamo in viaggio e già fa capolino il sole; lo vediamo alzarsi all'orizzonte ma, soprattutto, ce lo sentiamo dentro. Siamo una famiglia dislocata geograficamente e la manifestazione è anche un'ottima scusa per rivederci. Sara e Gabriele partono da Parma in treno, perchè il pullman di Rifondazione parte troppo presto per un edicolante che deve consegnare i giornali. Franca, invece, da Ancona è già in marcia coi compagni del partito. Appuntamento fra di noi e con i tanti amici con cui abbiamo condiviso anni di impegno e di lotta in Piazza della Repubblica. Ad ogni traversina dei binari, ad ogni chilometro di strada, monta l'emozione. Nei nostri blog restano i segni, già vecchi, dello sforzo fatto per contrastare il silenzio colpevole dei media, i cellulari sono già scarichi nell'ultimo tentativo di convincere tutti della necessità di questa presenza.
Roma ci accoglie con una giornata quasi estiva, come volesse partecipare a rendere ancora più caldo questo evento. Ci fermiamo "in Piazza Esedra per il solito caffè" e cominciano i primi abbracci... siamo di nuovo tutti insieme! Il nostro piccolo nucleo familiare e quello più esteso di tutti coloro che (disoccupati, donne, studenti, giovani, lavoratori, pensionati, extracomunitari), come noi, credono davvero - e non si tratta solo di uno slogan - che un'Italia e un mondo diverso siano possibili.
Il corteo si muove poco prima delle due; tra i primi ci sono i compagni del Manifesto imbavagliati in segno di protesta per i tagli all'editoria, noi con lo striscione del comitato regionale, il segretario Ferrero finalmente sorridente: la sua ansia (e la nostra) si scioglie a vedere confluire un mare di bandiere rosse... ma quanti siamo?!
Ci sono davvero tutte le realtà della sinistra (c'è persino la banda di Testaccio!); c'è Véronique che, solidale, arriva da Parigi pronta a sostenere i compagni italiani e a scattare centinaia di fotografie; c'è Luigi, il nostro "friggitore di salcicce", con la bandiera della sezione di Montemarciano orlata a fili d'oro con i palloncini in cima all'asta; c'è tutta la nostra rappresentanza istituzionale al gran completo confusa fra gli altri; ci sono Andrea, Matteo, Simone, Schuma, tutti gli amici di sempre; c'è Marina meravigliosa e poetica "romanaccia autentica" con tanto di nipotino al seguito provvisto di kit da piccolo infermiere, pronto ad aiutare eventuali compagni infortunati. La nostra amicizia virtuale trova, in questa manifestazione che unisce, l'occasione di diventare reale (Marina, contiamo su di te per visitare le fosse ardeatine nel giro dedicato alla memoria che stiamo un po' alla volta percorrendo); c'è un compagno baffuto con un'immensa bandiera rossa che fatica a trascinare e che domina l'intero Circo Massimo. Proviamo un'indescrivibile emozione ad incontrare Haidi Giuliani con cui, noi reduci di Genova, per sempre condivideremo uno sterminato affetto, una giusta rabbia e un'esigenza di giustizia.
Arriviamo in piazza Bocca della Verità - mai così piena! - e ripercorriamo a ritroso tutto il corteo che continuerà a sfilare per più di cinque ore consecutive. Incontriamo Rinaldini coi compagni della FIOM, gli studenti compatti contro la Gelmini, tantissimi giovani (un'assicurazione per il futuro), il camion dei Giovani Comunisti/e che non smettono per un secondo di ballare. Siamo più di 300.000, dal palco azzardano un mezzo milione che non ci sembra poi così esagerato.
Sangue rosso scorre in ogni via (ogni vena) Roma è un cuore che pulsa.
Quando usciamo dalla metropolitana è già notte e il ritorno è l'occasione per tirare le prime conclusioni. E' evidente che la Sinistra c'è e ha ancora voglia di lottare. L'esigenza è quella di lasciarsi indietro le divisioni e gli sbagli politici: due anni di partecipazione al governo hanno lasciato il segno. La sconfitta elettorale è stata bruciante, ma anche per questo deve diventare la spinta per ripartire e ritrovare una logica di lavoro partecipato: la nostra gente ha dimostrato di esserci e di crederci ancora.
Ripartiamo da qui!
Intanto, semplicemente, ci acconteremmo di ripartire da Roma, ma all'appello i compagni non sono tutti: alcuni si sono persi in metropolitana! A metà strada siamo talmente stanchi che dobbiamo chiamare l'ambulanza perché un compagno è svenuto. Arriviamo a casa dopo le due e mezza (ma i compagni di Torino hanno fatto anche più tardi)... stremati, puzzolenti, ma felici!
Le foto di guccia e Franca le trovate qui

08 ottobre 2008

Le cose sono parole

Eravamo in tre a percorrere un sentiero di mare e montagna guardando curiose le cose sconosciute per sforzarci di raccoglierne con la memoria parole in due lingue: finché di un oggetto non si suonano le note del nome, tasti alfabetici, culturalmente non esiste.
Un po' come i libri che, con mattoni di lettere, costruiscono mondi interi.
Nelle chiese costringono al silenzio, la nostra voglia di raccontarci ci ha tenuto fuori dalla porta pesante del duomo.
Siamo tre sognatrici: giovani a cui non hanno distrutto la voglia di futuro e il ricordo del passato.

Cinque terre con Véronique e Lucia