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10 novembre 2006

A Pietro, un uomo vivo e un falegname morto.

E' il mio personaggio che parla, ho provato a spiegargli che suonava retorico, che doveva prima far defluire l'odio, la rabbia... non c'è stato verso. E poi mi odia, perché l'ho creato.

Gli angeli sono la categoria sociale più bistrattata, non hanno diritti sindacali. Se ci pensi Dio è onnipotente, quindi se ci lascia crepare tra atroci sofferenze ha un suo oscuro, anzi molto oscuro, motivo; gli angeli non possono nulla. Ci amano più di Dio, che ha troppa gente da seguire, ci amano perché si occupano solo di noi (ovviamente mi riferisco solo agli angeli custodi). Però non possono nulla loro. Le decisioni sono prese dall’alto e a Dio non credo che interessi il punto di vista di un esercito di angeli custodi. Se crepiamo loro poveretti magari si erano affezionati e avrebbero voluto diversamente, chi lo sa. Poi, come in un famoso film, magari rinunciano ai propri privilegi di angeli per poterci toccare e sfiga vuole che moriamo proprio in quel momento e così, come noi, capiscono realmente la morte solo al tocco gelido di una pelle appena uscita dal frigo dell’obitorio.
Mio padre è stato tenuto in frigo per tre giorni interi, che vuoi, da noi i funerali non si celebrano né di sabato, né di domenica e la burocrazia non conosce il dolore di una vedova, la burocrazia è carta, legno morto e affettato. Sdraiato in quella bara, col cotone tra i denti sembrava sorridesse. Il cancro da tre anni gli aveva tolto il sorriso, un sorriso che tornava solo se si affacciava alla porta l’unica nipotina. Penso che il suo angelo debba aver sofferto tremendamente insieme a noi, penso che all’improvviso, di fronte alla malattia, anche lui abbia sciolto tutti i rancori che avrebbe potuto portargli. Anche lui avrà camminato lentamente fino alla macchinetta del caffè per un attimo di pausa, un’isola d’indifferenza.
L’angelo custode del suo compagno di stanza è tremendamente arrabbiato con mio padre. Erano due mesi che tentava di non fargli perdere le speranze, di fargli credere, anche se ovviamente non era vero, che avrebbe potuto lavorare e vivere in casa sua anche senza una gamba. Credo che questo angelo si chiamasse Pietro proprio come il suo assistito, che anche lui avesse mani nodose da falegname e un cuore mai troppo pieno di sentimenti, credo anche che andassero molto d’accordo. Questo angelo mi era grato all’inizio, perché mi occupavo di quelle cose indispensabili che le infermiere non facevano e che lui, per motivi d’immaterialità, non era in grado di fare. Tanto per mio padre c’era poco da fare. Ero quasi sollevato a vederlo incosciente, gli ultimi tre giorni. Mi saliva un brivido alla schiena se lo vedevo muovere appena le labbra a contatto con la garzetta umida con cui tenevo bagnata quella bocca sempre più nera. A differenza di mio nonno, non aveva chiesto spiegazioni su quello che gli sarebbe capitato. Capiva, aspettava e col frate parlava d’altro. Gli comprava ad un euro l’uno dei santini che sarebbero dovuti servirci a decorare la sua bara.
Pietro non solo non smise più di piangere ma con la morte di mio padre smise di ascoltare l’angelo. Gli ho lasciato il mio numero di telefono a sostituire in parte un angelo muto, stupendomi di me stesso. L’ho chiamato ieri, ha scoperto di avere anche problemi all’esofago e forse non parlerà più. Se farà pace col suo angelo dovranno comunicare a gesti.
Io, invece, dalla morte di mio padre non la smetto di sognare. Chi non vorrebbe che un così atroce martirio fosse utile a qualcuno? Aveva ragione lui, anche se non aveva capito davvero quello che stava dicendo: è ora di smetterla con tutte queste cazzate.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

imparato molto