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10 novembre 2008

Come quando ascolti il silenzio fra un battito del cuore e l'altro: il senso del tempo fra il Museo Cervi e Piazza Alimonda Giuliani.

Non sono poi tante le giornate della vita di un uomo in cui si è talmente emozionati da riuscire a concepire il silenzio del proprio corpo fra un battito del cuore e l'altro.
Immaginate di percorrere un buio sentiero di montagna e, proprio quando comincia a montare la disperazione della consapevolezza dell'essersi persi, scorgere d'improvviso all'orizzonte le luci di un paesino isolato. Due luci più forti delle altre a illuminare la piazza, tante finestre accese a fare da coro alle luci principali.
Come si può descrivere la commozione? Come si può, oltre che con un bacio sulla guancia, comunicare a parole la gratitudine, l'emozione, il gusto intenso di una lotta condivisa? Come si può, poi, tenere a bada la sensazione che ti scivola sulla pelle - fino a farti rizzare tutti i peli delle braccia - a sentire strati di sofferenza e di speranza nella profondità e nel tono di una voce, di un canto accompagnato da "quattro note"? Un dolore e una forza che, probabilmente, solo una donna può esprimere.
Sono atea, ma sabato 8 novembre ho ascoltato cantare Giovanna Marini e Patrizia Nasini al Museo Cervi come si ascolta una preghiera, anche se non ho saputo rispettarla e ho sentito l'esigenza di cantare (di recitarla) a mia volta, aggiungere voce su voce, lode e lamentazione.
Poi, siccome mi mancavano le parole, l'ho baciata. Quando mi sono alzata per andare a
ringraziarla per l'incredibile lavoro artistico, per la lotta di conservazione della storia orale, della storia degli ultimi, della memoria di Pasolini muore civilmente un paese che è capace di uccidere anche il suo Poeta, [proprio come ora che scrivo] mi sono mancate le parole e l'ho solo baciata.

Persi le forze mie persi l'ingegno
la morte mi è venuta a visitare
«e leva le gambe tue da questo regno»
persi le forze mie persi l'ingegno.

Le undici le volte che l'ho visto
gli vidi in faccia la mia gioventù
o Cristo me l'hai fatto un bel disgusto
le undici volte che l'ho visto.

Le undici e un quarto mi sento ferito
davanti agli occhi ho le mani spezzate
la lingua mi diceva «è andata è andata»
le undici e un quarto mi sento ferito.

Le undici e mezza mi sento morire
la lingua mi cercava le parole
e tutto mi diceva che non giova
le undici e mezza mi sento morire.

Mezzanotte m'ho da confessare
cerco perdono dalla madre mia
e questo è un dovere che ho da fare
mezzanotte m'ho da confessare.

Ma quella notte volevo parlare
la pioggia il fango e l'auto per scappare
solo a morire lì vicino al mare
ma quella notte volevo parlare
non può non può, può più parlare.


Lei mi ha sorriso e mi ha detto che si è accorta che [le canzoni] le sapevo tutte. E io, grazie alla sua lotta di resistenza, mi sono sentita una giovane ragazza privilegiata. Privilegiata per aver vissuto tanta passione attraverso la voce stratificata della storia in odore di sangue, sudore e terra e non di carta stampata.
Tutto ciò nella stessa sala in cui, tempo fa, con la mia famiglia, ho potuto ascoltare le testimonianze degli orrori delle stragi nazi-fasciste, solo finché il cuore e il fiato di chi raccontava sono stati in in grado di reggere al disumano. Il resto non si può descrivere e, solo per questo, noi non sapremo mai fino in fondo cos'è stato l'inferno.
Ieri pomeriggio, se foste passati per le strade di Genova, ci avreste potuto vedere seduti su una panchina di Piazza Alimonda. Ricordavo fin troppo bene quelle strade anche se la tentazione era quella di chiedere un'indicazione alle camionette di celerini che sfilavano verso lo stadio: "scusate, voi che la conoscete bene, sapreste indicarci la strada per Piazza Alimonda?" Il semaforo ha cambiato tante volte colore prima che ci decidessimo a riprendere il nostro cammino. Come Giovanna fa rivivere i canti di quei malfattori, noi volevamo intensamente che Carlo rivivesse in noi in quel preciso luogo, fra anziani signori davanti ai loro caffè, un extracomunitario che cercava di sopravvivere vendendo fazzoletti, alcuni piccioni, un edicolante indaffarato, la vita indifferente ad ogni tragedia. Non ci ero più tornata e mi aspettavo di vedere il tempo ancora immobilizzato, come nell'istante immediatamente successivo allo sparo.

Non capisco come il tempo possa non vergognarsi di scorrere ancora in Piazza Alimonda.

Anche se ora mi sembra decisamente un fatto minore, c'è stato un convegno molto interessante che ha animato la sala conferenze dell'archivio-biblioteca Emilio Sereni dove ho avuto il piacere di tenere in mano vecchi e meno vecchi volumi di storia contadina, soprattutto.
L'occasione era quella della biennale del paesaggio. Si è ragionato di paesaggio polisemico, stratificato. Mi è dispiaciuto constatare che Farinelli si è limitato - pur facendo filtrare parole come esche di riflessione - a fare da coordinatore. Si è partiti dalla distinzione importante dei termini: territorio con il suo senso politico, paesaggio con il suo senso estetico. A Emilio Sereni il debito della scoperta dell'agricoltura come arte del paesaggio, "panorama culturale". Ri-scoprire - fin dai poemi omerici - la vite come simbolo del genio umano e del passaggio, del confine, del limite fra natura e cultura. Saper leggere il tessuto narrativo del paesaggio dall'archeologia alla contemporaneità, sentirvi all'interno la propria testimonianza identitaria, auspicare la nascita a livello di massa del concetto di coscienza del luogo. Perché il paesaggio è innanzitutto memoria e solo chi non ha memoria non ha bisogno di tutelare il paesaggio: l'identità, il luogo di riproduzione della vita sociale. Asor Rosa, infine, si è riscoperto commosso a trovarsi in quel luogo per la prima volta. Per la prima volta?! È così che mi ha lasciato tanto amaro in bocca nel mettermi di nuovo di fronte alla consapevolezza dei grossi limiti non tanto del panorama culturale italiano come dice lui nascondendosi dietro una pagliuzza, quanto invece della nostra classe intellettuale.



Su flickr qualche foto di una giornata a Genova fra via del campo e il porto e l'installazione del prof. Mario Turci al Museo Guatelli. Spero di poter presto pubblicare uno stralcio del concerto anche qua sul blog.

14 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi chiedi sempre, quando pubblichi un post, se lo trovo bello. Questo potrei definirtelo intellettualmente commovente. Ritengo che il termine commovente abbia un valore molto più elevato di bello e la commozione che porta non è solo dell'animo ma tanto tanto di più del pensiero.

guccia ha detto...

Se traspare l'emozione il merito non è mio amore, ma di chi ha saputo commuovermi. Solo questo sbiadito - in confronto al sentimento vissuto - trasparire era quello che cercavo utopicamente di spiegare. Beati i poeti che almeno possono avvicinarcisi.

zefirina ha detto...

tu sei riuscita a farci sentire i battiti del tuo cuore
grazie

Franca ha detto...

Leggerti è stato un po' come esserci...

marina ha detto...

Ti vedo con la tua appassionata curiosità intellettuale, la tua capacità di immedesimazione, la forza dei tuoi sentimenti e delle idee. E il coraggio di tornare in quei posti...
il post non è semplicemente bello: è una bella anima che parla
con affetto e commozione, marina

giorgio ha detto...

Questo post andrebbe pubblicato su un giornale e fatto leggere il più possibile. La preghiera di un ateo è come il sole con la pioggia e l'arcobaleno: la religiosità della vita, del cuore, dell'anima.

"Il paesaggio è innanzitutto memoria": la nostra attuale identità individuale e collettiva si fonda sulla memoria, sull'accogliere lo srotolarsi della nostra anima e della storia. Giorgio, commosso.

GraficWorld ha detto...

un carico di emozioni..bel post!!

Anonimo ha detto...

che bell'intervento sara .. devo farti i miei complimenti.
Sono poche le persone come te che riescono a esprimere in modo così coinvolgente le proprie emozioni.
lascia i brividi,veramente.
è stato un piacere leggerti!
ah comunque sono debbi
un bacione!

guccia ha detto...

Grazie a tutti, sono io ad essere commossa, ora, di nuovo. Vi abbraccio forte con l'affetto di chi sente una profonda vicinanza.

Ciao debbi, non lascio mai il segno, ma anch'io passo a curiosarti spesso e volentieri ;) Un bacione a te!

Chit ha detto...

difficile arrivare tardi e riuscire ad essere originale. Ma non è questo il mio intento. Il mio intento è e rimane quello di renderti merito della capacità di portare la mente ed il cuore dentro il racconto in modo da poterne godere appieno così com'è successo a te.
Anch'io non ho le parole per ringraziarti per questo, non le cerco nemmeno e mi limito, come te, a ripagarti con un grande abbraccio!

Grazie.

Anonimo ha detto...

Comunichi tante emozioni, cara Guccia, comunichi la tua sensibilità, la tua passione, il tuo animo buono... Un abbraccio, Giulia

Vale ha detto...

Hai fatto bene a baciarla....

Silvia ha detto...

Ma brava...Dev'essere stato bello davvero :)

Un salutino

spina ha detto...

Ciao Sara!!
Mi hai fatto commuovere con queste poche righe..
.. grazie tantissimo!!!
Dani