Qualcosa troverò pure da scrivere. Non mi va che muoia. La giornata, poi, è di quelle che sembrano fatte apposta per accendere una tenue e giallastra luce da scrivania e ticchettarci sotto parole sconnesse, mentre fuori ticchetta la pioggia e la coppia di colombelle della piazza si stringe e si bagna. Lui dorme nell'altra stanza e io mi devo laureare. Quando si sveglierà mi dirà di smetterla col libro di Sartre e poi sorriderà per i testi di psicologia buttati sulla sedia a dondolo per evitare che la micia vi si vada a coricare con le zampette umide. Allora guarderò per l'ennesima volta l'orologio e maledirò il tempo che non è mai abbastanza. Non è abbastanza per laurearsi e neanche per stare insieme.
30 novembre 2009
07 ottobre 2009
Giusto un gioco per permettermi di raccogliere qualche scritto e qualche scatto di questi anni di blog, che non vadano persi perché sono comunque Vita. A cliccare sulla foto si raggiunge il prewiew e, con un po' di fatica, a selezionare l'opzione "full screen" si riesce persino a leggere. Giusto una distrazione fra interminabili sedute di preparazione della tesi.
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16 settembre 2009
Nuoro, Etnu 2009. Appunti a modo mio.
Come fosse un diario estemporaneo, dal quadernino a righe che ci ha regalato il Museo deleddiano di Nuoro, che il tempo per scrivere era poco e la voglia di vivere tanta. Svolazzi spontanei senza pretese, così come mi frullavano in mente per quel che sono riuscita ad acchiappare prima che il ricordo stingesse.
9 settembre 2009. Viaggio aereo Milano Linate - Olbia (il mio primo volo) Il naso spremuto sul finestrino.
La natura rifiuta i principi geometrici che appartengono, invece, all'edificare umano. Milano come un mosaico e l'anarchica costa sarda: specchio geografico di culture.
Nuvole come colossali macigni e strade e ponti della levità di un capello. Gli infiniti strati e i giochi di proiezione dell'ombra che appare come traslata, non rispetta il nostro asse. Abituati a considerarci il centro del mondo in volo siamo traditi.
Paesaggi massicci e in realtà inconsistenti, che al calore del sole oppongono bianchi glaciali. Nuvole che paiono poggiare sull'aria come la terra incrosta, simile a muffa secca, le acque del mare.
C'è un cielo d'orizzonte umano anche al di sopra delle nuvole.
10 settembre 2009: Primo incontro con Nuoro
Appena fuori da S.Maria della neve mi chiedo se qui la neve sia talmente improbabile da farne voti ai santi. Siedo immersa in un silenzio irreale, gioco a perdermi fra le vie di un anomalo centro storico. Due zingare percorrono il parco e uno stuolo di anziane ingobbite dal lavoro e dalla vecchiaia tirano a lucido il marmo e spolverano l'altare gridandosi accuse e improperi in un dialetto impenetrabile.
(allestiamo lo stand, arrivano gli amici, comincio a sentirmi a casa)
12 settembre 2009. Laboratorio "Dalla missione alla gestione del museo" a cura di Mario Turci (appunti)
Concetto di RESTITUZIONE.
Contrasto fra celebrazione e valorizzazione.
Efficacia come un insieme di forma e politica.
Gestione più missione.
La conservazione non è sufficiente: progetto sociale, efficacia e utilità pubblica.
Missione (azione) - politica (progetto) --> gestione
La missione deve sempre comprendere un atto di negoziazione col territorio.
Errata concezione di determinismo della forma --> la forma non determina la politica --> obsolescenza --> necrosi (Se la forma non è sostenuta da un contenuto congruo alla missione).
Per evitare la solitudine, l'autoreferenzialità al centro non porre l'oggetto, ma il visitatore.
L'emozione di veder riconosciuto un lavoro di ricerca video su biografie femminili sul tema del rapporto fra cottura e cultura a cui tengo più di me stessa. Osservare le mie donne prendere voce, raccontare la fame, la gola, il dolore, la vita intera svoltasi nell'ambiente della cucina con una semplicità e una forza inimitabili.
La morra sarda, la poesia campidanese, il cibo, l'accoglienza.
La tanta gente che passa e si emoziona a vedere la foto del Guatelli. Sente voglia di condividerne il racconto. L'inenarrabile valore. La promessa di una visita e un incontro.
13 settembre 2009. La mostra su De Andrè.
Criticare il concetto di maggioranza già nella stessa etimologia della parola: maiore: chi era titolare di privilegi ed esercitava l'autorità. Disvalore del disprezzo, dell'intolleranza.
Brividi e pelle d'oca condivisi. La stupenda installazione di studio azzurro. Il rapporto fra Liguria e Sardegna, fra la sua anima di poeta borghese e cantore del popolo. Seduti fra la polvere della moquette all'interno dei suoi sguardi. Stupire per il modo in cui spinge fuori il canto, quasi in ritardo, quasi a cercarlo in estreme profondità e all'ultimo aver bisogno di conservarlo, difenderlo, ritirarlo, respirarlo.
"Il trionfo della speranza sull'esperienza."
Il concerto di Piero Marras, la notte in bianco a desiderare di viverne ancora.
A teatro un connubio di stratificazione musicale popolare e cultura alta, contaminazioni ritmiche e linguistiche, incontro di rabbia e dolcezza, disperazione e speranza, anarchismo e regolamentazione, utopia. A infilarsi fra le note concretezza di sogni sognati, dolori e passioni travolgenti com'è travolgente la cultura sarda che si presenta così orgogliosa e radicata seppure così disponibile e aperta.
Qualche volta capita di desiderare d'abitare in un altro mondo per poi rendersi conto che si trova appena dietro l'angolo, giusto dove finiva il nostro sguardo corrotto, tramortito, imbalsamato.
La musica non smette di stupirmi di stupore profano. Le vedo le ali del musicista che si estendono a raccogliere il palco, a solleticare di piume i nasi della platea, a raggiungere il confine del suono ben oltre i confini fortificati dell'anima. La sento penetrare nei respiri e restare come memoria, l'unica possibile isola di senso.
Sento che il linguaggio del musicista è solitario, ma meno faticoso, meno ruvido o accidentato. Un liquido caldo, un liquido denso.
Ed è già ora di tornare, di salutare tristemente gli amici, di riempirsi di nuovo il cuore di speranze e progetti, quel tanto che basta per garantirsi ancora un po' di tempo da Vivere.
http://www.etnu.it/
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23 agosto 2009
Tudo isto é fado
La luce imita o accarezza le curve della mandola stasera? Assaggio la tua lingua e vi scopro un ricordo di liquore fatto in casa. Erano mele cotogne, erano noci, erano prugnoli.
Si leva un canto di donna fra le farfalle notturne. Le unghie stringono sul cuore, perle e tacco su sillabe e note: dolcissima veglia. Il chitarrista le pizzica la trachea, consuma, col tatto, sacrificio di corde vocali. Ne esce un canto umido, uterino, dolore di parto. Urlo e sussurro. Trasparenza su fianchi, nero pizzo dei seni e fado. Fiore appassito, frutto violato.
Ti manifesti con un bacio lieve sull'orecchio eccitato da altre frequenze e soffi sul timpano: si accendono brividi in chiaro e scuro, ruvidità su una pelle ombreggiata di peluria. Contrasto: crepuscolo e bassa marea.
Poi il bambino schiaccia la farfalla e spezza il ramo. Ora, l'istante stesso in cui si spegne la voce.
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21 luglio 2009
Venezia di bianco e di nero
Non ti scrivo tanto di Venezia, quanto della sua consapevolezza.
Sono sdraiata fra porose lenzuola di bianco fragoroso, intorno a me pareti di un azzurro vivido, appena oltre la finestra e gli scuri socchiusi da cui filtrano fascine di raggi di sole s'intravedono calli dai nomi improbabili, storie scolpite nella lingua e nelle impietose pieghe. Desidero smarrirmi per goderne il racconto.
Riposo al fresco di paesaggi di tendaggi e biancheria, di tanto in tanto mi bagno gli occhi coi pensieri liquidi conservati nel bicchiere posto sul mio comodino. Pungono e bruciano, poi vanno a schiarire il rosso nerastro delle mie palpebre abbassate. Lacrime alogenuro d'argento su membrane acetato di cellulosa che la luce decompone in regioni d'argento metallico.
A Venezia il mare odora d'oriente, crea forme alle finestre, incrosta di sale gli occhi già corrosi.
Riposano con me, all'ombra di possenti rampicanti, tavolini in ferro battuto ricoperti da spesse tovaglie in canapa sbiancate con la cenere, recuperate da vecchi bauli in cui conservare doti d'altri tempi.
E un gatto.
Un gatto che fa capolino fra piante e gambe. Il suo manto grigio incupisce le ceramiche vuote di latte e caffè.
D'improvviso è notte.
Funeree gondole scivolano su neri sospiri, tagliano le tenebre dei canali oscuri con piccole lame d'argento. Finissimo argento nella notte dei tuoi capelli che cominciano ad imbiancare al sorgere dei tuoi cinquant'anni.
Venezia è una città scolpita in una luce di due secoli fa. Tremolano proiezioni di mura illuminate dalle candele o dalle lampade a gas.
È vero, di Venezia non so scriverti, ne mancano gli odori delle radici (gli odori nelle narici) seppure (neppure) in sovrapposizioni temporali su fogli traslucidi.
Più tardi, o magari fra qualche giorno, proverò a raccontarti della biennale. Se appena mi riuscirà lo farò sempre su questo stesso foglio. Tu dormi, oppure aspettami.
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22 giugno 2009
Il giorno in cui ho incontrato l'uomo dai quattromila lucchetti.
Approfitto di una pozza di solitudine per ritagliare uno scampolo di piacere oltre il ferreo dovere di questi giorni e raccontarvi la giornata di ieri prima che ne sbiadiscano i dettagli, seppure la sostanza mi accompagnerà per tutto il mio tempo.
Un giorno ho deciso che avrei voluto imparare a dare forma alle sensazioni, plasmare i pensieri in strutture di parole. Ho cominciato a fissare idee estemporanee, combinarle, imparare giochi di vocaboli, scommettere su uno stile modesto, che non andasse a intaccare l'emozione, la storia pura. Ne sono nati racconti, aforismi, scarabocchi, un abbozzo di romanzo lasciato al culmine del suo sviluppo per troppo dolore, per paura di voltare pagina. Trasmutavo - stegoneria narrativa - visi e sensazioni vissute da me o da altri in storie, insaporendo la realtà con incastri fra reale e reale immaginato.
Ieri ho avuto invece la consapevolezza di incontrare una storia viva, fatta di carne, tempo dilatato e respiro.
Cedogno è un paesino in sasso. Vi si arriva tramite una stradina sterrata che penetra nel borgo fra stretti muri ed ebeti tremanti anziani cani, apparentemente confusi al passaggio di un'automobile, raro mostro d'acciaio e meccanica a contaminare un paradiso naturale a guardia del quale sta il Monte Fuso. Delizia di paesaggio d'appennino.
La casa dell'uomo dai quattromila lucchetti domina il torrente, lungo la stradina che porta a valle verso un ponticello ed un mulino.
Ubriachi di ciliegie sotto spirito assaporate in una deliziosa trattoria da quattro tavoli [trattoria Tarasconi a Paderna di Neviano degli Arduini] vi siamo arrivati nel tardo pomeriggio dopo esserci gustati oggetto per oggetto - e artigianali piccoli spaventapasseri costruiti da un piccolo e disordinatissimo gruppo di bambini - un minuscolo museo etnografico, un piccolo sogno, un piccolo scrigno di memoria, questo a Bazzano [Museo Uomo Ambiente]. Lì abbiamo conosciuto un'altra temporalità resa possibile dal lavoro su un vecchio telaio, fra i suoni ritmati del legno, tatto di canapa e lino e vecchi canti popolari.Vittorio galleggiava sprofondato su una poltrona fra bacheche in vetro che esponevano un selezionatissimo e allo stesso tempo numeroso gruppo di oggetti. Ci scrutava dubbioso e diffidente, esaminava il nostro interesse per cercare di capire quanto valesse la pena dare di un tesoro raccolto, fra sacrifico e piacere, in una vita intera. Ci sfidava, volendo dimostrare che il suo Museo potesse essere all'altezza delle più belle collezioni. Tibet, Marocco, pezzi di età romana, lucchetti da sei chiavi, segreti dei templari. Il mondo intero a partire da un lucchetto ricevuto in prestito e smarrito in guerra, sepolto sotto un cumulo di macerie e mai più ritrovato, la cui combinazione a lettere riportava il nome esotico di una donna "Juana" che come una chiave chissà a quale serratura di cuore era stata legata. Poi qualcosa è scattato fra un incrocio di sguardi e Vittorio ha cominciato ad estrarre ferrosi e arrugginiti grossi lucchetti da scatoloni e buste di plastica, questi finalmente da toccare, oltre i grandi vetri dell'esposizione. Per noi ha svelato l'enigma di complicati meccanismi che per la sua sapienza non hanno mistero. Ha combinato chiavi e serrature, raccontato storie lontane nei luoghi e nel tempo, srotolato la sua vita, condiviso - regalo infinito - la sua meravigliosa passione. Vittorio ha fatto ancora di più. Ci ha mostrato l'oggetto più bello del mondo, qualcosa che non avremmo mai più rivisto nella vita (un porta monete da tram) e poi ci ha rivelato la sua cantina (lavatrici a mano, seminatrici adoperate dalle sue mani poderose e gentili come fossero violini, piccoli mulini casalinghi),fino a portarci a conoscere Tito, il suo migliore amico, un grassoccio cane nero dolcissimo e ad assaporare un caffè a casa sua. Si è lasciato fotografare abbracciato a sua moglie che ha pazientemente sopportato per tutti i loro anni la sua strabordante passione, vedendone irrimediabilmente contaminata la casa, mentre sua nuora metteva la caffettiera sul fuoco. E nell'attesa ci ha rivelato altre decine di meraviglie nella sua sala strapiena di cose, facendone parlare una ad una e poi riponendole in una precisa geografia di oggetti, materializzazione palpabile della memoria.
Sorrideva Vittorio. E noi sorridevamo, riconoscenti, con lui.
Museo storico del lucchetti
Museo Uomo Ambiente
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20 maggio 2009
Stralci di vita. E quando la politica la fanno le persone e per giunta appassionate.
Vediamo se sono ancora capace di sporcare questo silenzio bianco con briciole nere di punteggiatura da pensieri smozzicati rammendati col fil di ferro su un tarlato pezzo di memoria. Di notte sogno talmente tanto e faccio sogni così complicati da svegliarmi stanca. Così ho imposto al mio alter ego il silenzio, ma lui mi ha spiegato che anche un uomo solo con se stesso vive nel frastuono dei suoi organi interni. Il mio tempo libero galleggia cadavere sulla superficie oleosa di un periodo denso.
Però fra gli impegni ho nascosto l'intera Padova coi suoi mercatini e le sue botteghe d'altri tempi: salumieri faccia piena, anguille nelle vasche di sbeccate mattonelle di coccio a far da vetrina alle pescherie, oggetti intrisi di passato a strizzarne racconti al solo vederli, i matti sotto al palazzo della ragione, dopo Giotto il battistero del Duomo da lasciarci storditi e le madonnine medievali ad allattare grassocci bambinelli fra le vene del legno e la lotta di sopravvivenza del colore.
Dei miei tre giorni in oriente - Udine al Far East Film - ho portato indietro un senso di stordimento e piacere. Uscita dalle quattro ore di proiezione di Love Exposure di Sono Sion (l'unica descrizione possibile sarebbe stata la mia e le altre facce), la sensazione era quella di aver aperto una breccia su una cultura dagli enormi contrasti, in cui si può passare dalla gioia alla tristezza, come dal trash al sublime con una facilità disarmante, inspiegabile nonché completamente affascinante e densa di significati umani al punto che l'unico confronto possibile resta la migliore letteratura russa ottocentesca. La città invasa da una marea di forzati volontari delle 16 ore giornaliere di cinema, al punto da farmi sentire quasi normale nelle mie escursioni cittadine, fra osterie semibuie visto che gli occhi faticavano a ritrovare il giusto rapporto diaframma/tempi di fronte alla luce del sole e ad espandere il loro campo visivo oltre i quattro lati del quadro. E cerco di esservi utile segnalandovi anche The equation of love and death di Cao Baoping.
Ma aspettate un minuto che metto su l'acqua della pasta, che tanto il ragù l'ho preparato ieri.
All'inaugurazione di una mostra fotografica, dopo aver cercato di esporre tre decenni di cinema in meno tempo possibile e averne comunque subito l'impazienza dei giornalisti mi sono chiesta perché la (mia) timidezza debba necessariamente essere un difetto così atroce in questa epoca standardizzata e perfetta. E l'ho pure caricata d'affetto citando Pasolini che racconta il suo primo incontro con Fellini che gli raccontava, trascinandomi in quella campagna perduta in un miele di suprema dolcezza stagionale, la trama delle Notti. Io, gattino peruviano accanto al gattone siamese, ascoltavo con in tasca Auerbach.
Poi da brava mamma gatta curo la mia palla di pelo nero che si è presa un brutto acciacco stagionale, nell'utopia di mostrarvi il cuore dell'essere donna attacco l'uno all'altro corpi digitali, organizzo filmografie in improbabili nomi danesi, cerco di concludere - e magari chissà di ricominciare - anche l'università seppure, e nonostante la mia impreparazione cinematografica, continuo a comprare libri d'antropologia (che se ritenuti buoni saranno prontamente inseriti e commentati in aNobii).
E adesso la conclusione col botto: la mamma (Franca Bassani o la Franca di Francamente), finalmente, si candida a sindaco. Dopo 16 anni di amministrazione comunale in cui ha ricoperto svariate cariche, ha acquisito una competenza notevole e si è fatta praticamente da sola l'opposizione avendoci messo tempo e cuore come nessuno (chi la conosce come anche i tanti che telefonavano a casa perché sapevano di trovare l'unica persona in grado di portare le loro proposte o di dare una risposta utile sa che non parlo con le parole di sua figlia), penso che sia davvero una candidatura forte, giusta. A lei, oltre a nomi di indispensabile valore, si è unita una lista fresca, giovane così che, oltre alla necessaria competenza, si è sviluppato un clima di gioiosa partecipazione. Alle riunioni, che io ho solo sfiorato, si vive un entusiasmo contagioso, si sta bene insieme. Si è inoltre convinti di portare avanti idee condivise da tutti che davvero hanno in potenza la forza di migliorare il paese, assolutamente al di fuori da interessi di parte. Molti di voi amici che passate a trovarmi in mezzo a questa confusione di tic da tastiera siete lontani per sostenerla, ma se volete riconoscere amicizia ad una lista di sinistra vera o conoscere il programma ci trovate sui blog, su facebook, per e-mail. E per chi fosse fisicamente vicino ad Agugliano (AN) vi segnalo l'iniziativa organizzata dalla nostra lista (A sinistra per Agugliano) con Fulvio Grimaldi, il 22 maggio alle 21,00 nei locali della sala polivalente del Socopad. Per il 29 maggio, invece, dopo il successo della prima, si sta organizzando la seconda cena di autofinanziamento.
P.S.: se qui latito mi potete sempre spiare attraverso finestre aperte a soffietto: twitter e facebook.
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09 aprile 2009
Il coraggio e la solidarietà in Abruzzo
Questo blog non chiude, i muri non fanno parte della mia filosofia, ritroverà tempo e parole.
Oggi si fa spazio per un urlo:
vi comunico un riferimento sicuro per le donazioni per il terremoto. Rifondazione ha già improntato campi e tramite le brigate di solidarietà attiva e le sedi abruzzesi è sul territorio. Per le donazioni via internet da qui, se volete, potete dare in sicurezza il vostro contributo (e trovare altri link e informazioni).
E poi voglio segnalare il blog di una nostra vecchia amica blogger: Anna dove trovate altri riferimenti per gli aiuti sicuri e dove, soprattutto, grazie al suo coraggio e nonostante le perdite subite, sta cercando di fare vera informazione oltre il muro di omertà politica e giornalistica. Qui (da Marina) trovate le coordinate bancarie per aiutarla a ricevere un portatile dotato di connessione internet, la catena solidale del mondo dei blog si è messa in movimento.
Non smetteremo di parlarne finché anche l'ultimo abruzzese non avrà una sistemazione dignitosa e la certezza di tornare il più presto possibile ad avere un vero tetto per la sua famiglia.
Update: Rifondazione ha approntato due campi accoglienza a San Biagio e Camarda con servizi di cucina, asilo sociale, assistenza psicotraumatologica, lavanderia sociale.
Per il contributo economico:
Conto Corrente Bancario
RIFONDAZIONE PER L'ABRUZZO
IBAN: IT32J0312703201CC0340001497 (dall'estero aggiungere cod. Swift: BAECIT2B)
Per disponibilità varie tutti i recapiti sul sito di Rifondazione
Update 2: Anna ha ricevuto il portatile!
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31 gennaio 2009
Il tempo del racconto
Dov'è finito il mio tempo del racconto?
Fra un'inquadratura spiata in un cinema d'essay di Pordenone o nel sogno di condividere una passione fino a non dormirci la notte. Fra pagine di tesi, la mia, e pagine di tesi, quelle degli altri. Il senso di impreparazione culturale mi coglie più forte quando meno me l'aspetto e mi pietrifica l'intestino fino a bloccarmi, a tradimento, il respiro. Guardo la mia bella professoressa, dal viso d'attrice francese, l'ascolto ascoltarmi e poi sussurrarmi parole che rallentano i tempi della tensione. Mentre l'osservavo salire sul treno e sparire all'interno della carrozza, speravo intensamente solo di aver la possibilità di imparare ancora da lei.
E l'alba della domenica, che prima era furia di libertà, si leva ogni settimana come il momento del riposo fisico e mentale. Vorrei venire a incontrarvi, riposarmi nelle nostre case virtuali, appoggiarmi su una vostra frase e veder sfilare i vostri testi fino alla fine senza l'ansia dei troppi appuntamenti.
Intervisto anziane donne in questi giorni. Attraverso il sapere delle loro mani gesticolano storie talmente dense da annientarmi per vari giorni. Al montaggio di questi video mi si svela il senso stesso dell'essere donna, pazzia di fotogrammi mi fa credere che si possa salvare ancora qualcosa.
A teatro sono morta con Elisabetta Pozzi per tutto il tempo di Max Gericke e il sorriso dell'attrice che recupera il suo corpo è stato anche la mia dolorosa resurrezione.
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