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08 dicembre 2006

Nostalgici ricordi di gatti


Mi sento un pò bloccata questi giorni. Abbiamo messo da parte i viaggi verso città, paesi, visi non visti, mostre di pittura, incontri di letteratura che ci riempivano il poco tempo libero a disposizione, ci riempivano la vita. La macchina fotografica digitale ha la memoria cancellata. La vecchia Olympus analogica non fa più quel meraviglioso clic da una vita. Oggi, al massimo, una scappata verso l'outlet più vicino per finire i regali di Natale, per osservare cosa ha il coraggio di comprare la gente. Ho voglia di riavere indietro la mia faccia e ripartire. Oggi è festa, la voglia di poltrire è quasi banale, ma la vicina si è messa ad inveire già alle quattro di mattina. Preparo i bigliettini d'auguri così, dopo questo pomeriggio, non ci penso più. Impacchetto tutto e non voglio neppure ricordarmi cosa ho comperato. Per un anno, a meno che io non riesca a trovare un angolo di mondo dove ancora non si festeggi il Natale. Globalizzazione. Mi accontenterei almeno di riuscire a trovare un Babbo Natale non rosso - Coca Cola (e neanche verde-Padania). L'unica cosa buona il pandoro a colazione. Perlomeno quest'anno non ci saremo a scartare i regali, ad indagare le facce e a mascherare le nostre impressioni.
Guardo Pablita e la trovo bella, penso di essere egoista e, per una volta, adottare un gatto norvegese, un gatto col pedigree. Rivedo tutti i cuccioli che ci sono passati fra le mani (ormai una ventina), lasciati a morire per strada, incontrati per pura fortuna (loro ma anche nostra). Il bracciolo della poltrona rovinato, una ciotola di riserva dietro l'armadio, un filo della coperta tirato, una pallina che era finita sotto un mobile, un gomitolo di lana gialla. Immagino come sarebbe Pablita adesso se avesse avuto la possibilità di essere mamma. Immagino come sarebbero stati i suoi cuccioli, se se la serebbe cavata già la prima volta. Il sacrificio più grande, verso quei cosi che di tanto in tanto arrivano a riempirgli la casa e poi se ne vanno, l'ha fatto lei. Noi ci abbiamo messo solo un pò di pazienza. Cancello le foto dall'hard disk, guardarle mi fa troppo male, vorrei essere sicura di aver dato a tutti una seconda possibilità. Cancello il bianco e nero che leccava tutti, la rossa tigrata che non si è fatta toccare per una settimana, quello con l'occhietto malato, li cancello ma so che liberare lo spazio serve a riempirlo di nuovo.
Amo in modo particolare i gatti per la loro indipendenza, l’intelligenza che traspare dai loro occhi che vedono anche in quello che a noi sembrerebbe essere il buio più profondo, la linea sinuosa della loro schiena, le leggende degli antichi popoli che li veneravano come dei. Li amo anche per la loro indifferenza, la loro gratitudine a tratti, il loro affetto caratterizzato da slanci incredibili e altrettanto incredibili vuoti. Li amo perché sono quello che io non potrei mai essere, insomma li invidio. Il mio amore per i gatti è un amore malato e morboso, ma sincero. Un amore che nei suoi momenti luminosi vive di grande e sincera tenerezza. I gatti mi hanno insegnato a dare e ricevere affetto senza ricordo del passato e aspettative per il futuro.
A godere di ogni momento senza il desiderio di fotografarlo per imprigionarlo per sempre. Sogno spesso di sentire una morbidezza incredibile al tatto mentre accarezzo il manto lucido di un enorme felino che appoggia la pesante testa sulle mie ginocchia, scuotendo impercettibilmente le orecchie per il piacere. E’ buffo il loro verso gutturale col quale ci ripagano delle nostre attenzioni. E’ l’unico momento in cui abbandonano la loro inflessibile dignità, le pose statuarie o atletiche e si lasciano andare ad una imbarazzante, intima confidenza. Essere nelle loro grazie è il regalo più autentico che una giornata riesca ad offrire come pure poterne osservare i movimenti eleganti grazie ad una fiducia che regalano con criteri a noi incomprensibili. Con la stessa immotivata e irremovibile decisione con la quale assegnano mortali e insuperabili antipatie, quasi un malocchio. Che sappiano realmente vedere gli spiriti? A volte quando guardano spaventati o confusi un punto della casa assolutamente vuoto non posso fare a meno di pensarci e rabbrividisco a ricordo di riti ancestrali.
Vorrei essere un po’ gatta, ma niente è più lontano dalla mia natura. L’unica cosa che accomuna donne e gatte è il loro portare in grembo i propri figli, nient’altro.
Comunque, una cosa l’ho imparata: mi muovo come una gatta lungo le mura che abbracciano questa città fredda d’inverno e calda d’estate. Sul treno so essere addirittura spudorata, perché la vicinanza col dolore rompe ogni mia ritrosia, ma lungo le strade trafficate che sono obbligata a percorrere sono timida come un felino selvatico. I passanti sono i monaci buddisti che, con poche parole lievi e sicure al tempo stesso, mi ammaestrano alla loro volontà e io, come l’enorme felino del mio sogno, piego la testa davanti anche solo ad un semplice sorriso, facendo le fusa come un gattino, divento cane. Il sentimento è il mio guinzaglio, la parola la legge più alta a cui mi sottometto senza il minimo giudizio. Sono atea ma credo, credo a tutto quello che mi si dice.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

ahhah se fosse vero che i gatti vedono gli spiriti e hanno gli occhi sbarrati e un pò spaventati per questo, la mia casina è infestata!!! Guarda Ficchi... costantemente spiritato, a parte quando dorme, allora lì diventa proprio tonto o va in coma, l'ultima volta, quando l'ho accarezzato appena svegliato, per stiracchiarsi a iniziato a rotolarsi fino a cadere dalla poltrona, è finito perterra e si è rimesso a dormire lì a zampe all'aria! :D

Anonimo ha detto...

Trilli già è più composta continuamente accanto al camino al costo di dormire sulla legna! Anche se a dire il vero ultimamente dorme come se stesse seduta, ma con la testa tutta storta :)

guccia ha detto...

Ehehehe Miciolini dolci :)