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01 febbraio 2015

Il senso delle parole (o delle cose)

Un pochino angosciata dalla rapidità con la quale una domenica si sostituisce all'altra, ma non abbastanza da farmi rinunciare alla solita carrellata settimanale di quotidiani - quelli che macchiano le dita di uno schifoso inchiostro e vanno poi ad ingombrare la differenziata - oggi trattengo a modo mio un trafiletto sull'importanza delle parole.
"Algoritmo", "algebra", "liuto", "altair, zenit e nadir", sono stelle, sono strumenti musicali, sono concetti matematici o astrologici, ma sono anche parole arabe.
Oggi una delle poche parole arabe che riconosciamo come tali è "jihad", che però non significa come crediamo noi o come ci fanno credere da una parte e dall'altra "guerra santa", ma piuttosto "sforzo interiore di essere buoni credenti".
A cambiare il senso delle parole, come hanno spiegato eminenti linguisti ed epistemologi, si rischia di cambiare il senso delle cose; un po' come si rischia di cambiare per sempre la fisiologia di un paesaggio a suon di bombe (o di abusi).
Il problema è che poi, nonostante tutti gli sforzi degli attivisti o degli etimologi, è dura tornare al senso originario delle parole (o delle cose).

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