Un pochino angosciata dalla rapidità con la quale una domenica si
sostituisce all'altra, ma non abbastanza da farmi rinunciare alla solita
carrellata settimanale di quotidiani - quelli che macchiano le dita di
uno schifoso inchiostro e vanno poi ad ingombrare la differenziata -
oggi trattengo a modo mio un trafiletto sull'importanza delle parole.
"Algoritmo", "algebra", "liuto", "altair, zenit e nadir", sono stelle,
sono strumenti musicali, sono concetti matematici o astrologici, ma sono anche parole arabe.
Oggi una delle poche parole arabe che riconosciamo come tali è "jihad",
che però non significa come crediamo noi o come ci fanno credere da una
parte e dall'altra "guerra santa", ma piuttosto "sforzo interiore di
essere buoni credenti".
A cambiare il senso delle parole, come hanno
spiegato eminenti linguisti ed epistemologi, si rischia di cambiare il
senso delle cose; un po' come si rischia di cambiare per sempre la
fisiologia di un paesaggio a suon di bombe (o di abusi).
Il
problema è che poi, nonostante tutti gli sforzi degli attivisti o degli
etimologi, è dura tornare al senso originario delle parole (o delle
cose).
01 febbraio 2015
Il senso delle parole (o delle cose)
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