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21 ottobre 2008

Più che altro disordinato cinema (e troppe parentesi).

Più che altro alcune riflessioni che è più facile ritrovare qui che nel vortice di lettere nere in corsivo nervoso e quadretti della mia moleskine. In fretta. Sul poco cinema goduto in questi ultimi tempi.
Ho voglia - in particolare - di segnalare un film semi-nuovo: The dark knight di Christopher Nolan (sì, è il regista di Memento) titolo che agli appassionati di fumetti suonerà di certo "milleriano". E dai fumetti voglio partire, proprio io che di fumetti non me ne intendo molto, ma che con un'immagine di Batman (post anni '80) ci sono cresciuta. Me la ricordo ancora la mia prima volta al cinema: avevo sei anni e mi accompagnavano i miei zii. Ero uscita talmente affascinata dal film (il Batman di Burton dell'89) - e dal cinema: quel buio illuminato da mondi fantastici a cui sembrava, per qualche ora, di appartenere - da chiedere, timidamente, di poter portare a casa un gadget: un cappellino nero con il logo inconfondibile del pipistrello giallo sulla visiera e il paraorecchie! Così ho conosciuto questo supereroe complessato e borghese - la sua immagine stuprata dal merchandising sfrenato di Hollywood - ma anche filantropo e generoso (talmente convincente da farci quasi credere che esista un capitalismo buono). Di lì una piccola collezione di volumi sul pipistrello, quel poco che più o meno abbiamo tutti. Finita la pellicola di Nolan, dunque, mi sono sentita derubata. Mi è sembrato di intuire che - se il commercio non avesse vergogna di ingurgitare anche i sentimenti - questo dovrebbe essere l'ultimo film su Batman: quel personaggio invecchiato che - edajela con Miller - il ritorno del cavaliere oscuro aveva resuscitato. La psicologia dei personaggi, infatti, è talmente curata da svelarne nei dettagli l'immensità, la profondità che li rende non più esseri di carta trasposti sul grande schermo - nella vita - ma corpi pericolosamente caldi. Dunque il film rompe il piacere inconscio che mi catturava nei fumetti da ragazzina e mi rende conscia della loro grandezza. Un cattivo - penso al Joker naturalmente - che, come unica arma, usa la sua incredibile intelligenza; che si rende invulnerabile perché non corrotto nè dal denaro, nè dagli affetti e tanto meno dai ricordi, da una storia personale. Superiore a un Batman che perde - in quanto costretto a percorrere sempre l'unica strada che il Joker gli lascia aperta - e a cui Nolan toglie l'ultima maschera. Un Batman - Dio (colui che tutto vede, tesi supportata dalla scelta di Freeman nel ruolo del suo aiutante, attore che ha già interpretato Dio in "Una settimana da Dio": e il cinema che si auto-cita) costretto a lasciare il mondo che, egoisticamente, per un impulso personale, protegge. Un film dove un Dio martire scappa e vengono a cadere tutte le categorie morali e politiche del bene e del male (penso in particolare alla scena altamente metaforica delle navi dove, fra l'altro, è aspramente criticato il sistema democratico). Non si rispettano neppure le categorie di diritto e rovescio, il cinema esalta la propria superiorità ottica nei confronti dell'occhio umano e ribalta l'orizzonte. La sceneggiatura è una sceneggiatura di ferro, senza una macchia, intertestuale e dialogica nel senso più ampio del termine (sì, sto studiando per l'esame di Quaresima). Non solo citazioni in puzza di vecchio post-moderno, ma un lavoro a 360 gradi sull'intero panorama culturale. Non esplosioni, ma lavoro fino: camion ribaltati da un cavo d'acciaio invece che da un bazooka: un'opera spettacolare che dosa l'effetto degli effetti speciali, perché non è quella la sua forza. Un film che lascia l'amaro in bocca, che da in pasto allo spettatore solo minimi contentini qua e là per prepararlo alla batosta finale: Batman - almeno quello cinematografico - è stato svelato e non è più necessario, viene riconsegnato al mondo del fumetto con il bambino che, alla fine, lo vede scomparire e grida all'ingiustizia. Quel bambino siamo tutti noi che, almeno una volta nella vita, abbiamo amato Batman e - ammettiamolo - un certo tipo di (in)giusta società.
Poi Pranzo di ferragosto senza pretese (?), ma delizioso. Come a dire che si possono fare dei bei film anche con gli scarti di lavorazione (il neorealismo lo faceva, no?) e che oggi non bisogna essere per forza postmoderni. Come a dire che si può barare per far entrare un documentario a Venezia fra i film di finzione, l'olimpo del cinema, per non ghettizzarlo in mezzo ai generi di serie B (si sente che sono baziniana?). Falso sporco e in realtà curato fotograficamente, forse con troppa compiacenza nell'uso dello sfuocato in rapporto alla profondità di campo. Troppo realista quando fa vedere le anziane vecchine che sputazzano - la forza dell'imprevisto al cinema e la mosca sul viso della Giovanna d'Arco - mentre parlano? Commovente la sua capacità di ritrarre un piccolo mondo difficile con la giusta dose di ironia.
Infine Wall-E dove ritrovo lo spirito guatelliano (persino lo scarpone!) e la necessità di comunicare che la prima rivoluzione è quella ambientale (contro il Mercato del consumismo sfrenato). Quello della Pixar sempre più sembra un lavoro di resistenza (a partire anche dal delizioso, solito, corto iniziale) che riesce ancora - in parte - a non farsi disneyzzare del tutto (perché Disney ha bisogno di "cinematizzare" la computer graphic per non scomparire) e mantiene uno spirito sovversivo. Mi pare di aver scovato un difetto di sceneggiatura - o un obbligo di produzione - in rapporto al tema del valore dei ricordi che contamina irreparabilmente la conclusione. Ma i titoli di coda col loro potere politico (la cultura è politica) riescono a sciogliere il mio scoramento prima che mi alzi, per l'ultima volta in queste settimane, dalla poltrona rossa e dal mio insano amore.

5 commenti:

Franca ha detto...

Forse ho convinto Agnese ad andare a vedere "Pranzo di ferragosto"...

guccia ha detto...

Secondo me vi piace :)

Silvia ha detto...

Anch'io ho in programma di vedere Pranzo di Ferragosto :) me ne avevano già parlato bene...Però mi hai fatto venire la vogia di vedere anche Batman!

Wall-E ancora non l'ho visto...C'è mio fratello che cerca di convincermi, vedremo chi l'avrà vinta.

Buona giornata, a presto!

Anonimo ha detto...

Un po' sopravvalutato "Pranzo di ferragosto", a mio parere. Con bambini, anziani, disabili è facile fare film...

guccia ha detto...

Secondo me, invece, è proprio con bambini, anziani e disabili che è più difficile fare un (buon) film.
Non è un capolavoro e non chiede di esserlo, ma ha comunque il suo valore. Mi interessa in modo particolare, come ho scritto, il nascondere un documentario sotto un film di finzione. In fondo anche l'uso marcato della profondità di campo è funzionale a questo scopo. Una riflessione interessante sul confine Fiction/documentario (dal valore quasi antropologico) e onesta sui rapporti umani.