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18 maggio 2010

Acqua bene comune

I comunisti sono belli come il sole :)

Firmate, firmate, firmate.
Ecco il sito nazionale del comitato promotore con le date di tutti i banchetti divisi regione per regione: www.acquabenecomune.org



08 maggio 2010

Fra bicchieri di rosso e altre amenità

Un bicchiere di cattivo vino da damigiana in offerta al supermercato è bastato a mettermi in quella ambigua amaro dolciastra condizione d’animo a cui aspirano normalmente i cattivi scrittori. Ho molto da dire e nessuna buona parola racchiusa nel cassetto per farlo. Mia madre ha appena finito di traslocare. L’ultima impressione della casa in cui sono cresciuta, io che mi nutro di ricordi, è stato il cattivo odore che proveniva dal frigorifero, lo spiacevole ritorno d’eco nelle enormi stanze vuote. Avrei potuto approfittare della temporanea impossibilità d’accesso alla rete – un fastidioso dipendente Telecom oggi ha già telefonato tre volte per ricordarci l’appuntamento di domattina – per disintossicarmi dai social network e godermi il piacevole e attesissimo indolenzimento muscolare da trasporto mobili, dopo mesi e mesi passati piegata su una ricerca in odore d’amore per il cinema e in sapore di niente che ha accresciuto notevolmente il mio peso corporeo più che la mia atrofizzata massa grigia. Mi verso un altro bicchiere, poi mi accingo alla pratica zen di rimetterlo, cucchiaio dopo cucchiaio, nella damigiana, perché mi rendo conto di aver sopravvalutato le mie scarse capacità di bevitrice. Il vino ha il colore dello sciroppo per la tosse che mi dava mio padre, medico, da bambina. La tesi ha prosciugato ogni mia insana avidità di scrittura. Mi sono laureata. Ho tenuto la mia prima lezione universitaria, mi sono immedesimata in un ruolo che il mio paese – e comunque le mie capacità e il mio grado di preparazione – non sapranno mai garantirmi, ma che ho potuto assaggiare (questo, sì, è vino buono) grazie a Loretta, che ho il privilegio di chiamare per nome. Sarà quel che sarà, le coincidenze fortunate della mia vita superano già la mia immaginazione. Ho scoperto che la mia generosità e la mia timidezza, nonostante l’ingratitudine e le notti in bianco, non sono necessariamente un difetto. Sono stata al Far East Film Festival e dal lontano oriente ho riportato con me Nakagawa (e Simone). Fra horror tailandesi, film sociali hongkonghesi, serie giapponesi sui gatti fantasma, ho scoperto che il cinema è una buona droga e che, a prescindere dai miei cinque anni di DAMS, sono una potenziale cinefila. Considerati i cinque anni di DAMS, invece, sono irrimediabilmente baziniana.
Il fantastico al cinema è consentito solo dal realismo irresistibile dell’immagine fotografica. È essa ad imporci la presenza dell’inverosimile, a introdurlo nell’universo delle cose visibili. (rinvenuta nello Schrader, mentre preparo gli esami di analisi di film, stavolta dall’altra parte della barricata). Mi sposo. Ve lo dico senza neanche andare a capo. Visto che, nonostante le richieste, non sarà nel modo più assoluto un matrimonio tradizionale, considerate questa come la vostra partecipazione. Sarà una festa agricola in un luogo in cui conservo almeno un buon quartino di cuore: siete liberi il pomeriggio del 19 giugno? Sarà festa grande a casa Guatelli: protagonisti arcangeli e zingare, nel cast artisti, cinefili, antropologi, professori, bibliofili, salami del Gruppo d’Acquisto Solidale, ipocondriaci, musicisti folli, gatti, comunisti. È inutile, ci ho persino provato, ma non so pensarmi senza di lui; che sia questione di trascendenza o d’immanenza poco importa.
E ora, scusate, ho un gatto nero da coccolare.

08 febbraio 2010

Le persone che amo.

Ecco cosa significa essere orgogliosi dei propri amici. Di chi, dopo tanti anni di lontananza, senti ancora vicino giorno per giorno.

Daniele a Santiago del Estero

01 febbraio 2010

Le parole, d'inverno, sono nuvole (un post ridicolo e un fatto serio).

Non so, fuori c'è la neve.
Mi hanno detto che siamo almeno dieci gradi sotto. Il padre di quel tale ricordava che in Siberia gelava la saliva così, se sputavi per terra, producevi un rumore quasi metallico.
Ghiaccio contro ghiaccio (Tlin!).
D'inverno le parole le vedi uscire dalla bocca e rimanere a galleggiare attaccate alle labbra. Le parole, d'inverno, sono nuvole.
Cento paia di occhi mi scrutavano da alti banchi di legno scuro.
Temevo un vuoto di memoria.
Tastavo gli appunti con le dita, un solco mentale entro cui far scorrere un filo di pensiero.
(Pitagora - Ippocrate. Pitagora...Ippocrate. Pitagora, Ippocrate)
L'aula, però, era calda.
La nuvoletta si è dissolta.
Poi, mi hanno detto, la voce si è incrinata. Dico "mi hanno detto" perché io non la sentivo, la voce; non ci sono mai stata, io, in Siberia.
Ma c'era lei che mi guardava. E, da casa, mi guardavano un po' tutti.
Avete presente le fiabe russe? Non si ha mai il vero senso della distanza.
Allora ho preso la rincorsa e mi sono buttata.

Mi hanno detto che era come se l'avessi sempre fatto. Mi hanno detto che dovevo essere marchigiana e che ci tenevano ad assicurare alla mia maestra che l'allieva è degna di lei. Questo, naturalmente, è impossibile. Ma occhi hanno ricambiato con attenzione la mia passione. Mi hanno ringraziata. E, a forza di allenare il cuore a saltare ostacoli, la pista si è un po' spianata. Ora, davvero, non m'importa che orizzonte ci sia alla fine della strada. Chiedo solo a voi, e alle mie scarpette rosse, di accompagnarmi ancora a casa.

(ho solo rotto il ghiaccio)

30 novembre 2009

Ticchettii

Qualcosa troverò pure da scrivere. Non mi va che muoia. La giornata, poi, è di quelle che sembrano fatte apposta per accendere una tenue e giallastra luce da scrivania e ticchettarci sotto parole sconnesse, mentre fuori ticchetta la pioggia e la coppia di colombelle della piazza si stringe e si bagna. Lui dorme nell'altra stanza e io mi devo laureare. Quando si sveglierà mi dirà di smetterla col libro di Sartre e poi sorriderà per i testi di psicologia buttati sulla sedia a dondolo per evitare che la micia vi si vada a coricare con le zampette umide. Allora guarderò per l'ennesima volta l'orologio e maledirò il tempo che non è mai abbastanza. Non è abbastanza per laurearsi e neanche per stare insieme.

07 ottobre 2009


Giusto un gioco per permettermi di raccogliere qualche scritto e qualche scatto di questi anni di blog, che non vadano persi perché sono comunque Vita. A cliccare sulla foto si raggiunge il prewiew e, con un po' di fatica, a selezionare l'opzione "full screen" si riesce persino a leggere. Giusto una distrazione fra interminabili sedute di preparazione della tesi.

16 settembre 2009

Nuoro, Etnu 2009. Appunti a modo mio.

Come fosse un diario estemporaneo, dal quadernino a righe che ci ha regalato il Museo deleddiano di Nuoro, che il tempo per scrivere era poco e la voglia di vivere tanta. Svolazzi spontanei senza pretese, così come mi frullavano in mente per quel che sono riuscita ad acchiappare prima che il ricordo stingesse.

9 settembre 2009. Viaggio aereo Milano Linate - Olbia (il mio primo volo) Il naso spremuto sul finestrino.
La natura rifiuta i principi geometrici che appartengono, invece, all'edificare umano. Milano come un mosaico e l'anarchica costa sarda: specchio geografico di culture.
Nuvole come colossali macigni e strade e ponti della levità di un capello. Gli infiniti strati e i giochi di proiezione dell'ombra che appare come traslata, non rispetta il nostro asse. Abituati a considerarci il centro del mondo in volo siamo traditi.
Paesaggi massicci e in realtà inconsistenti, che al calore del sole oppongono bianchi glaciali. Nuvole che paiono poggiare sull'aria come la terra incrosta, simile a muffa secca, le acque del mare.
C'è un cielo d'orizzonte umano anche al di sopra delle nuvole.

10 settembre 2009: Primo incontro con Nuoro
Appena fuori da S.Maria della neve mi chiedo se qui la neve sia talmente improbabile da farne voti ai santi. Siedo immersa in un silenzio irreale, gioco a perdermi fra le vie di un anomalo centro storico. Due zingare percorrono il parco e uno stuolo di anziane ingobbite dal lavoro e dalla vecchiaia tirano a lucido il marmo e spolverano l'altare gridandosi accuse e improperi in un dialetto impenetrabile.
(allestiamo lo stand, arrivano gli amici, comincio a sentirmi a casa)

12 settembre 2009. Laboratorio "Dalla missione alla gestione del museo" a cura di Mario Turci (appunti)
Concetto di RESTITUZIONE.
Contrasto fra celebrazione e valorizzazione.
Efficacia come un insieme di forma e politica.
Gestione più missione.
La conservazione non è sufficiente: progetto sociale, efficacia e utilità pubblica.
Missione (azione) - politica (progetto) --> gestione
La missione deve sempre comprendere un atto di negoziazione col territorio.
Errata concezione di determinismo della forma --> la forma non determina la politica --> obsolescenza --> necrosi (Se la forma non è sostenuta da un contenuto congruo alla missione).
Per evitare la solitudine, l'autoreferenzialità al centro non porre l'oggetto, ma il visitatore.

L'emozione di veder riconosciuto un lavoro di ricerca video su biografie femminili sul tema del rapporto fra cottura e cultura a cui tengo più di me stessa. Osservare le mie donne prendere voce, raccontare la fame, la gola, il dolore, la vita intera svoltasi nell'ambiente della cucina con una semplicità e una forza inimitabili.

La morra sarda, la poesia campidanese, il cibo, l'accoglienza.
La tanta gente che passa e si emoziona a vedere la foto del Guatelli. Sente voglia di condividerne il racconto. L'inenarrabile valore. La promessa di una visita e un incontro.

13 settembre 2009. La mostra su De Andrè.
Criticare il concetto di maggioranza già nella stessa etimologia della parola: maiore: chi era titolare di privilegi ed esercitava l'autorità. Disvalore del disprezzo, dell'intolleranza.
Brividi e pelle d'oca condivisi. La stupenda installazione di studio azzurro. Il rapporto fra Liguria e Sardegna, fra la sua anima di poeta borghese e cantore del popolo. Seduti fra la polvere della moquette all'interno dei suoi sguardi. Stupire per il modo in cui spinge fuori il canto, quasi in ritardo, quasi a cercarlo in estreme profondità e all'ultimo aver bisogno di conservarlo, difenderlo, ritirarlo, respirarlo.
"Il trionfo della speranza sull'esperienza."

Il concerto di Piero Marras, la notte in bianco a desiderare di viverne ancora.
A teatro un connubio di stratificazione musicale popolare e cultura alta, contaminazioni ritmiche e linguistiche, incontro di rabbia e dolcezza, disperazione e speranza, anarchismo e regolamentazione, utopia. A infilarsi fra le note concretezza di sogni sognati, dolori e passioni travolgenti com'è travolgente la cultura sarda che si presenta così orgogliosa e radicata seppure così disponibile e aperta.
Qualche volta capita di desiderare d'abitare in un altro mondo per poi rendersi conto che si trova appena dietro l'angolo, giusto dove finiva il nostro sguardo corrotto, tramortito, imbalsamato.
La musica non smette di stupirmi di stupore profano. Le vedo le ali del musicista che si estendono a raccogliere il palco, a solleticare di piume i nasi della platea, a raggiungere il confine del suono ben oltre i confini fortificati dell'anima. La sento penetrare nei respiri e restare come memoria, l'unica possibile isola di senso.
Sento che il linguaggio del musicista è solitario, ma meno faticoso, meno ruvido o accidentato. Un liquido caldo, un liquido denso.

Ed è già ora di tornare, di salutare tristemente gli amici, di riempirsi di nuovo il cuore di speranze e progetti, quel tanto che basta per garantirsi ancora un po' di tempo da Vivere.

http://www.etnu.it/

23 agosto 2009

Tudo isto é fado

La luce imita o accarezza le curve della mandola stasera? Assaggio la tua lingua e vi scopro un ricordo di liquore fatto in casa. Erano mele cotogne, erano noci, erano prugnoli.
Si leva un canto di donna fra le farfalle notturne. Le unghie stringono sul cuore, perle e tacco su sillabe e note: dolcissima veglia. Il chitarrista le pizzica la trachea, consuma, col tatto, sacrificio di corde vocali. Ne esce un canto umido, uterino, dolore di parto. Urlo e sussurro. Trasparenza su fianchi, nero pizzo dei seni e fado. Fiore appassito, frutto violato.
Ti manifesti con un bacio lieve sull'orecchio eccitato da altre frequenze e soffi sul timpano: si accendono brividi in chiaro e scuro, ruvidità su una pelle ombreggiata di peluria. Contrasto: crepuscolo e bassa marea.
Poi il bambino schiaccia la farfalla e spezza il ramo. Ora, l'istante stesso in cui si spegne la voce.

21 luglio 2009

Venezia di bianco e di nero

Non ti scrivo tanto di Venezia, quanto della sua consapevolezza.
Sono sdraiata fra porose lenzuola di bianco fragoroso, intorno a me pareti di un azzurro vivido, appena oltre la finestra e gli scuri socchiusi da cui filtrano fascine di raggi di sole s'intravedono calli dai nomi improbabili, storie scolpite nella lingua e nelle impietose pieghe. Desidero smarrirmi per goderne il racconto.
Riposo al fresco di paesaggi di tendaggi e biancheria, di tanto in tanto mi bagno gli occhi coi pensieri liquidi conservati nel bicchiere posto sul mio comodino. Pungono e bruciano, poi vanno a schiarire il rosso nerastro delle mie palpebre abbassate. Lacrime alogenuro d'argento su membrane acetato di cellulosa che la luce decompone in regioni d'argento metallico.
A Venezia il mare odora d'oriente, crea forme alle finestre, incrosta di sale gli occhi già corrosi.


Riposano con me, all'ombra di possenti rampicanti, tavolini in ferro battuto ricoperti da spesse tovaglie in canapa sbiancate con la cenere, recuperate da vecchi bauli in cui conservare doti d'altri tempi.
E un gatto.
Un gatto che fa capolino fra piante e gambe. Il suo manto grigio incupisce le ceramiche vuote di latte e caffè.
D'improvviso è notte.
Funeree gondole scivolano su neri sospiri, tagliano le tenebre dei canali oscuri con piccole lame d'argento. Finissimo argento nella notte dei tuoi capelli che cominciano ad imbiancare al sorgere dei tuoi cinquant'anni.
Venezia è una città scolpita in una luce di due secoli fa. Tremolano proiezioni di mura illuminate dalle candele o dalle lampade a gas.
È vero, di Venezia non so scriverti, ne mancano gli odori delle radici (gli odori nelle narici) seppure (neppure) in sovrapposizioni temporali su fogli traslucidi.

Più tardi, o magari fra qualche giorno, proverò a raccontarti della biennale. Se appena mi riuscirà lo farò sempre su questo stesso foglio. Tu dormi, oppure aspettami.

22 giugno 2009

Il giorno in cui ho incontrato l'uomo dai quattromila lucchetti.


Approfitto di una pozza di solitudine per ritagliare uno scampolo di piacere oltre il ferreo dovere di questi giorni e raccontarvi la giornata di ieri prima che ne sbiadiscano i dettagli, seppure la sostanza mi accompagnerà per tutto il mio tempo.
Un giorno ho deciso che avrei voluto imparare a dare forma alle sensazioni, plasmare i pensieri in strutture di parole. Ho cominciato a fissare idee estemporanee, combinarle, imparare giochi di vocaboli, scommettere su uno stile modesto, che non andasse a intaccare l'emozione, la storia pura. Ne sono nati racconti, aforismi, scarabocchi, un abbozzo di romanzo lasciato al culmine del suo sviluppo per troppo dolore, per paura di voltare pagina. Trasmutavo - stegoneria narrativa - visi e sensazioni vissute da me o da altri in storie, insaporendo la realtà con incastri fra reale e reale immaginato.
Ieri ho avuto invece la consapevolezza di incontrare una storia viva, fatta di carne, tempo dilatato e respiro.


Cedogno è un paesino in sasso. Vi si arriva tramite una stradina sterrata che penetra nel borgo fra stretti muri ed ebeti tremanti anziani cani, apparentemente confusi al passaggio di un'automobile, raro mostro d'acciaio e meccanica a contaminare un paradiso naturale a guardia del quale sta il Monte Fuso. Delizia di paesaggio d'appennino.
La casa dell'uomo dai quattromila lucchetti domina il torrente, lungo la stradina che porta a valle verso un ponticello ed un mulino.
Ubriachi di ciliegie sotto spirito assaporate in una deliziosa trattoria da quattro tavoli [trattoria Tarasconi a Paderna di Neviano degli Arduini] vi siamo arrivati nel tardo pomeriggio dopo esserci gustati oggetto per oggetto - e artigianali piccoli spaventapasseri costruiti da un piccolo e disordinatissimo gruppo di bambini - un minuscolo museo etnografico, un piccolo sogno, un piccolo scrigno di memoria, questo a Bazzano [Museo Uomo Ambiente]. Lì abbiamo conosciuto un'altra temporalità resa possibile dal lavoro su un vecchio telaio, fra i suoni ritmati del legno, tatto di canapa e lino e vecchi canti popolari.Vittorio galleggiava sprofondato su una poltrona fra bacheche in vetro che esponevano un selezionatissimo e allo stesso tempo numeroso gruppo di oggetti. Ci scrutava dubbioso e diffidente, esaminava il nostro interesse per cercare di capire quanto valesse la pena dare di un tesoro raccolto, fra sacrifico e piacere, in una vita intera. Ci sfidava, volendo dimostrare che il suo Museo potesse essere all'altezza delle più belle collezioni. Tibet, Marocco, pezzi di età romana, lucchetti da sei chiavi, segreti dei templari. Il mondo intero a partire da un lucchetto ricevuto in prestito e smarrito in guerra, sepolto sotto un cumulo di macerie e mai più ritrovato, la cui combinazione a lettere riportava il nome esotico di una donna "Juana" che come una chiave chissà a quale serratura di cuore era stata legata. Poi qualcosa è scattato fra un incrocio di sguardi e Vittorio ha cominciato ad estrarre ferrosi e arrugginiti grossi lucchetti da scatoloni e buste di plastica, questi finalmente da toccare, oltre i grandi vetri dell'esposizione. Per noi ha svelato l'enigma di complicati meccanismi che per la sua sapienza non hanno mistero. Ha combinato chiavi e serrature, raccontato storie lontane nei luoghi e nel tempo, srotolato la sua vita, condiviso - regalo infinito - la sua meravigliosa passione. Vittorio ha fatto ancora di più. Ci ha mostrato l'oggetto più bello del mondo, qualcosa che non avremmo mai più rivisto nella vita (un porta monete da tram) e poi ci ha rivelato la sua cantina (lavatrici a mano, seminatrici adoperate dalle sue mani poderose e gentili come fossero violini, piccoli mulini casalinghi),fino a portarci a conoscere Tito, il suo migliore amico, un grassoccio cane nero dolcissimo e ad assaporare un caffè a casa sua. Si è lasciato fotografare abbracciato a sua moglie che ha pazientemente sopportato per tutti i loro anni la sua strabordante passione, vedendone irrimediabilmente contaminata la casa, mentre sua nuora metteva la caffettiera sul fuoco. E nell'attesa ci ha rivelato altre decine di meraviglie nella sua sala strapiena di cose, facendone parlare una ad una e poi riponendole in una precisa geografia di oggetti, materializzazione palpabile della memoria.
Sorrideva Vittorio. E noi sorridevamo, riconoscenti, con lui.

Museo storico del lucchetti
Museo Uomo Ambiente

20 maggio 2009

Stralci di vita. E quando la politica la fanno le persone e per giunta appassionate.


Vediamo se sono ancora capace di sporcare questo silenzio bianco con briciole nere di punteggiatura da pensieri smozzicati rammendati col fil di ferro su un tarlato pezzo di memoria. Di notte sogno talmente tanto e faccio sogni così complicati da svegliarmi stanca. Così ho imposto al mio alter ego il silenzio, ma lui mi ha spiegato che anche un uomo solo con se stesso vive nel frastuono dei suoi organi interni. Il mio tempo libero galleggia cadavere sulla superficie oleosa di un periodo denso.
Però fra gli impegni ho nascosto l'intera Padova coi suoi mercatini e le sue botteghe d'altri tempi: salumieri faccia piena, anguille nelle vasche di sbeccate mattonelle di coccio a far da vetrina alle pescherie, oggetti intrisi di passato a strizzarne racconti al solo vederli, i matti sotto al palazzo della ragione, dopo Giotto il battistero del Duomo da lasciarci storditi e le madonnine medievali ad allattare grassocci bambinelli fra le vene del legno e la lotta di sopravvivenza del colore.
Dei miei tre giorni in oriente - Udine al Far East Film - ho portato indietro un senso di stordimento e piacere. Uscita dalle quattro ore di proiezione di Love Exposure di Sono Sion (l'unica descrizione possibile sarebbe stata la mia e le altre facce), la sensazione era quella di aver aperto una breccia su una cultura dagli enormi contrasti, in cui si può passare dalla gioia alla tristezza, come dal trash al sublime con una facilità disarmante, inspiegabile nonché completamente affascinante e densa di significati umani al punto che l'unico confronto possibile resta la migliore letteratura russa ottocentesca. La città invasa da una marea di forzati volontari delle 16 ore giornaliere di cinema, al punto da farmi sentire quasi normale nelle mie escursioni cittadine, fra osterie semibuie visto che gli occhi faticavano a ritrovare il giusto rapporto diaframma/tempi di fronte alla luce del sole e ad espandere il loro campo visivo oltre i quattro lati del quadro. E cerco di esservi utile segnalandovi anche The equation of love and death di Cao Baoping.
Ma aspettate un minuto che metto su l'acqua della pasta, che tanto il ragù l'ho preparato ieri.
All'inaugurazione di una mostra fotografica, dopo aver cercato di esporre tre decenni di cinema in meno tempo possibile e averne comunque subito l'impazienza dei giornalisti mi sono chiesta perché la (mia) timidezza debba necessariamente essere un difetto così atroce in questa epoca standardizzata e perfetta. E l'ho pure caricata d'affetto citando Pasolini che racconta il suo primo incontro con Fellini che gli raccontava, trascinandomi in quella campagna perduta in un miele di suprema dolcezza stagionale, la trama delle Notti. Io, gattino peruviano accanto al gattone siamese, ascoltavo con in tasca Auerbach.
Poi da brava mamma gatta curo la mia palla di pelo nero che si è presa un brutto acciacco stagionale, nell'utopia di mostrarvi il cuore dell'essere donna attacco l'uno all'altro corpi digitali, organizzo filmografie in improbabili nomi danesi, cerco di concludere - e magari chissà di ricominciare - anche l'università seppure, e nonostante la mia impreparazione cinematografica, continuo a comprare libri d'antropologia (che se ritenuti buoni saranno prontamente inseriti e commentati in aNobii).

E adesso la conclusione col botto: la mamma (Franca Bassani o la Franca di Francamente), finalmente, si candida a sindaco. Dopo 16 anni di amministrazione comunale in cui ha ricoperto svariate cariche, ha acquisito una competenza notevole e si è fatta praticamente da sola l'opposizione avendoci messo tempo e cuore come nessuno (chi la conosce come anche i tanti che telefonavano a casa perché sapevano di trovare l'unica persona in grado di portare le loro proposte o di dare una risposta utile sa che non parlo con le parole di sua figlia), penso che sia davvero una candidatura forte, giusta. A lei, oltre a nomi di indispensabile valore, si è unita una lista fresca, giovane così che, oltre alla necessaria competenza, si è sviluppato un clima di gioiosa partecipazione. Alle riunioni, che io ho solo sfiorato, si vive un entusiasmo contagioso, si sta bene insieme. Si è inoltre convinti di portare avanti idee condivise da tutti che davvero hanno in potenza la forza di migliorare il paese, assolutamente al di fuori da interessi di parte. Molti di voi amici che passate a trovarmi in mezzo a questa confusione di tic da tastiera siete lontani per sostenerla, ma se volete riconoscere amicizia ad una lista di sinistra vera o conoscere il programma ci trovate sui blog, su facebook, per e-mail. E per chi fosse fisicamente vicino ad Agugliano (AN) vi segnalo l'iniziativa organizzata dalla nostra lista (A sinistra per Agugliano) con Fulvio Grimaldi, il 22 maggio alle 21,00 nei locali della sala polivalente del Socopad. Per il 29 maggio, invece, dopo il successo della prima, si sta organizzando la seconda cena di autofinanziamento.

P.S.: se qui latito mi potete sempre spiare attraverso finestre aperte a soffietto: twitter e facebook.


09 aprile 2009

Il coraggio e la solidarietà in Abruzzo

Questo blog non chiude, i muri non fanno parte della mia filosofia, ritroverà tempo e parole.
Oggi si fa spazio per un urlo:
vi comunico un riferimento sicuro per le donazioni per il terremoto. Rifondazione ha già improntato campi e tramite le brigate di solidarietà attiva e le sedi abruzzesi è sul territorio. Per le donazioni via internet da qui, se volete, potete dare in sicurezza il vostro contributo (e trovare altri link e informazioni).
E poi voglio segnalare il blog di una nostra vecchia amica blogger: Anna dove trovate altri riferimenti per gli aiuti sicuri e dove, soprattutto, grazie al suo coraggio e nonostante le perdite subite, sta cercando di fare vera informazione oltre il muro di omertà politica e giornalistica. Qui (da Marina) trovate le coordinate bancarie per aiutarla a ricevere un portatile dotato di connessione internet, la catena solidale del mondo dei blog si è messa in movimento.
Non smetteremo di parlarne finché anche l'ultimo abruzzese non avrà una sistemazione dignitosa e la certezza di tornare il più presto possibile ad avere un vero tetto per la sua famiglia.

Update: Rifondazione ha approntato due campi accoglienza a San Biagio e Camarda con servizi di cucina, asilo sociale, assistenza psicotraumatologica, lavanderia sociale.
Per il contributo economico:
Conto Corrente Bancario
RIFONDAZIONE PER L'ABRUZZO
IBAN: IT32J0312703201CC0340001497 (dall'estero aggiungere cod. Swift: BAECIT2B)
Per disponibilità varie tutti i recapiti sul sito di Rifondazione

Update 2:
Anna ha ricevuto il portatile!

31 gennaio 2009

Il tempo del racconto

Dov'è finito il mio tempo del racconto?
Fra un'inquadratura spiata in un cinema d'essay di Pordenone o nel sogno di condividere una passione fino a non dormirci la notte. Fra pagine di tesi, la mia, e pagine di tesi, quelle degli altri. Il senso di impreparazione culturale mi coglie più forte quando meno me l'aspetto e mi pietrifica l'intestino fino a bloccarmi, a tradimento, il respiro. Guardo la mia bella professoressa, dal viso d'attrice francese, l'ascolto ascoltarmi e poi sussurrarmi parole che rallentano i tempi della tensione. Mentre l'osservavo salire sul treno e sparire all'interno della carrozza, speravo intensamente solo di aver la possibilità di imparare ancora da lei.
E l'alba della domenica, che prima era furia di libertà, si leva ogni settimana come il momento del riposo fisico e mentale. Vorrei venire a incontrarvi, riposarmi nelle nostre case virtuali, appoggiarmi su una vostra frase e veder sfilare i vostri testi fino alla fine senza l'ansia dei troppi appuntamenti.
Intervisto anziane donne in questi giorni. Attraverso il sapere delle loro mani gesticolano storie talmente dense da annientarmi per vari giorni. Al montaggio di questi video mi si svela il senso stesso dell'essere donna, pazzia di fotogrammi mi fa credere che si possa salvare ancora qualcosa.
A teatro sono morta con Elisabetta Pozzi per tutto il tempo di Max Gericke e il sorriso dell'attrice che recupera il suo corpo è stato anche la mia dolorosa resurrezione.

22 dicembre 2008

Migrazioni

Mi capita da sette anni e mezzo di vivere la condizione dell'emigrante. Non sembri ridicolo il fatto che il mio spostamento sia stato appena di trecento chilometri e spiccioli. Anch'io, infatti, ho avuto i miei sacchi neri di plastica in cui infilare la falsa e ipocrita consolazione di oggetti familiari a far stringere il cuore a tradimento; ho conosciuto la fatica e il disagio del non capire una lingua, un dialetto che mi escludeva dai discorsi delle persone più anziane come dalle chiacchierate più familiari o concitate; mi sono sentita straniera in una terra che poco o niente assomigliava alla mia, ma a cui dovevo, almeno in parte e col tempo, cercare di assomigliare. C'è il rischio di perdersi, però, per una donna di collina e di mare a sforzarsi di assomigliare alla pianura. Così, il primo periodo, ho aggiunto un chilo al mese nel ricordo delle curve dei miei profili all'orizzonte, fino a superare il primo anno grazie ai dodici chili circa di ansia trasformata in zuccheri ed energia, grasso a proteggere dal freddo sconosciuto a chi ha sempre vissuto in un clima umano più mite.
Poi, in certi angoli di questa grande casa che è il mondo e che per fortuna nessuno riesce ancora a pulire, perché scomodi e stretti - o forse perché non conviene, ingenuamente non si ritengono pericolosi da chi detiene il potere - ha cominciato a fermarsi una polvere particolare fatta soprattutto di cose vecchie che raccontano al nuovo e lo rendono vissuto, già stratificato. Fatta di quello che l'umano ha di universale, fatta di pazzia, utopia e poesia, fatta di incontro e racconto.
Così si cedono paure e sconforto cedendo chili, fino a tornare al giusto peso dell'anima dove tutto quello che avanza non ha a che fare con lo sfogo, ma è stato solo puro piacere, peccato capitale, gusto di vivere. Ci si comincia a sentire a casa. L'altra casa. Quando si ritorna si può viaggiare in treno seduti verso il senso di marcia, e non più con le spalle alla strada.
Oggi avrei voluto raccontare della Garfagnana, che ogni anno ci accoglie come se non fossimo solo di passaggio - in particolare di un luogo fra le alpi apuane e l'apppennino - di Lucca, bellissima più che mai tutta vestita a festa e dove Piazza Krasnaja - un mio vecchio racconto - è stato adottato una seconda volta fra musica e teatro e una nuova pubblicazione, ma il sentimento più forte era quello del mio nomadismo interiore. Per due meravigliose speranze, invece, per il racconto di quelle, ci può essere solo il bar e possibilmente un bar con la vetrina mezza appannata a guardare progetti di vita affrettati e infreddoliti procedere verso l'una o l'altra strada, all'incrocio.
Ne approfitto, però, almeno stavolta, per ricambiare un gesto che mi ha commossa (non mi piacciono le catene, ma se c'è di mezzo l'affetto è diverso) e per farvi gli auguri. Natale mi mette ansia, la cosa migliore che mi sento di augurarvi è che questi giorni di festa vi vedano in cammino.



Ho ricevuto da ed attraverso i suoi due blog (l'altro è imperia parla) questo premio dedicato ai blog che hanno dimostrato impegno nel trasmettere valori culturali, etici, letterari o personali. Commossa lo assegno a mia volta (parenti esclusi!).

Il regolamento del premio è questo:
1. accettare e comunicare il regolamento visualizzando il logo del premio
2. linkare i blog che ti hanno premiato
3. premiare altri 15 blog meritevoli avvisandoli del premio

A piena voce
Alzata con pugno
Attaccati alla spina
Babilonia61
CalMa
Chit
ed
Frutti di stagione
Il più personale dei piaceri
Ineziessenziali
Pensare in un'altra luce
Che vuoi farci è la vita, è la vita, la mia
The bookshow
Tipi d'aMare
Zefirina

Perdonatemi se non dovessi avervi avvisato, ma sempre più la lettura dei blog per me è un piacere puro da godermi in momenti e stati d'animo particolari. Cosa che si vede forse dalla mia bassa frequenza di commenti lasciati, ma che vi garantisce un affetto vero e una lettura attenta e appassionata. Se vi leggo, seppure spesso silenziosamente, link o no, comunque vi apprezzo. Sono giochini, questi, che mettono sempre in difficoltà.

10 dicembre 2008

Sbiadite impressioni di maremma

Insieme ai gatti mendichiamo qualcosa da mangiare e un po' di caldo in un bar da pescatori, a Porto Ercole. Grosseto, coi suoi mercatini e i droghieri dalla faccia piena - cecina e castagnaccio - è già alle nostre spalle e il mare si è finalmente svelato. Fa freddo anche in maremma.
Un uomo ha preso un polpo e gli toglie la vita sugli scogli, i pescatori sbrogliano le reti e s'ingraziano il mare: è l'ultimo giorno di festa. Il sole cala sul golfo, mentre il faro si accende e con la sua lampada accende la luna. Il viaggio è stato lungo a partire dal punto in cui la terra respira e nasce la nebbia, occhi interrotti dal muro bianco ora pattinano fra mille acrobazie lasciando segni come giochi d'aerei su un orizzonte invernale.
Il paesaggio addomesticato esplode selvatico e irsuto, le parole e gli steccati lo sporcano di cultura. Massi ammucchiati ai margini dei campi ne rivelano la resistenza all'uomo, la dose maggiorata di fatica. Luoghi da ulivi e pecore, mani callose grasse di pecorino e olio, terra rossa, piccoli capezzoli caldi. Lascivo filtrare fra valli.
Di notte i vicoli di Capalbio, uomini e cani frettolosi fra il vento gelido a rintanarsi in un locale di legna buona ad ardere nel camino, buon vino e Jazz. Sulle pareti fantasmi nudi di donne abbondanti a sfidare maliziose l'obiettivo. Pitigliano, Sorano, Sovana come note sulle spartito della terra, oltre il silenzio della campagna. Miracoli ricavati nel tufo rosa, case come rampicanti. Villani a sfrecciare su vecchi apetti colorati, trattorie da quattro tavoli e timida cortesia, fontane ingioiellate da mille riflessi.
Il gusto aromatico di vecchi libri usati in edizioni non più in commercio fra botteghe artigianali, meraviglie di legno d'ulivo, giocattoli scomparsi anche dalla memoria...

Immagini di Blogger


Chiudendo il racconto di due giornate che ci hanno fatto sentire ogni minuto di tempo come un regalo irripetibile, mi si permetta di esprimere il pensiero costante di questi giorni senza spiegare: all'infinita forza e generosità di Antonella, al dolore di Maria e Corina.

30 novembre 2008

Notturno appena illuminato: prima prova da taccuino per disordinate impressioni.

Le luci del palco vestono la pelle; i movimenti del corpo non feriscono l'aria, ma i gesti si trasformano in parole - parole straniere che pretendono d'essere capite per comunanza - codificate dall'intera storia della cultura umana.
Il tempo stuprato dalla società contemporanea, attraverso il mimo e la temporalità costruita del cinema, acquisisce consapevolezza e inizia a respirare nel traffico.
D'improvviso è silenzio.
Il passo strisciato sulle assi di legno.
E poi, di nuovo, la voce umana. Una donna grida il suo tormento stratificato in secoli di canto. Col canto si avvicina l'aria alle labbra e beve, assetata.
Scattano gambe e mani in una corsa sfrenata a schiacciare fra le mani un'idea come un insetto. Si scambiano millenni di scrittura per un tratto di matita.
Esplode il gesto che libera il movimento, segno grafico di arti.
Una donna può cullare il vento mentre il figlio è concime per la terra.
Silenzio.
Una preghiera striscia e cammina.
Il solista danza sui tetti. La metropoli si sveglia.
Alba gelida: consapevolezza della vita sulla pelle.
Mangiarsi le cellule che rimangono fra i denti. Dipingere di luce e vernice rossa.
Applausi!
La guerra si toglie la maschera e fa un inchino.
Respiro. Buio. Respiro.
Dialogo fra silhouette di note, fra il vento e un crescendo di pensiero, fra ritmo e risacca, fra mani.
L'uomo nasce nella frattura dell'istante perfetto: nel difetto.
Un idiota. Un barcaiolo nuota nell'odore del tuo fiato.
La risacca con dita di sasso suona la battigia.
Luce nel mare, anche oggi non c'è tempesta.

In bilico al confine del palco, al confine della realtà. In equilibrio precario sul misticismo del silenzio. Colonizzazione del buio.

25 novembre 2008

Atti di fede

Ragionavo su diversi tipi di atti di fede:
quello di volare su un areo affidando la propria vita al pilota;
quello di guardare un film - in particolare un documentario - confidando, per la fiducia insita nella vocazione ontologica di riproducibilità del reale del mezzo fotografico, che quel mondo sullo schermo sia effettivamente fedele a quello in cui viviamo (e qui entra in gioco la politica);
quello di fare un salto: utopia del volo.


Mangio un altro biscotto poi torno a studiare, ma non è "mica" facile reprimere e reprimere in categorie tutta la vita che ho in mente
Forse ho già detto che io non credo in Dio, ma credo nel pensiero geometrico puro, da cui nasce la cultura.

19 novembre 2008

Interno - giorno e notte.

No, non scappo, vorrei, ma sono qua: un forte prurito di nostalgia narrativa mi solletica le vene e non basta a placarlo una curiosità intellettuale incontrollabile per l'antropologia visuale. E non so come gestire le inquadrature mediocri di mia nonna che, a ottant'anni, mi affida in eredità il suicidio di suo padre. Sono paralizzata nella condizione di aver filmato il mio personale e ancestrale non filmabile.

10 novembre 2008

Come quando ascolti il silenzio fra un battito del cuore e l'altro: il senso del tempo fra il Museo Cervi e Piazza Alimonda Giuliani.

Non sono poi tante le giornate della vita di un uomo in cui si è talmente emozionati da riuscire a concepire il silenzio del proprio corpo fra un battito del cuore e l'altro.
Immaginate di percorrere un buio sentiero di montagna e, proprio quando comincia a montare la disperazione della consapevolezza dell'essersi persi, scorgere d'improvviso all'orizzonte le luci di un paesino isolato. Due luci più forti delle altre a illuminare la piazza, tante finestre accese a fare da coro alle luci principali.
Come si può descrivere la commozione? Come si può, oltre che con un bacio sulla guancia, comunicare a parole la gratitudine, l'emozione, il gusto intenso di una lotta condivisa? Come si può, poi, tenere a bada la sensazione che ti scivola sulla pelle - fino a farti rizzare tutti i peli delle braccia - a sentire strati di sofferenza e di speranza nella profondità e nel tono di una voce, di un canto accompagnato da "quattro note"? Un dolore e una forza che, probabilmente, solo una donna può esprimere.
Sono atea, ma sabato 8 novembre ho ascoltato cantare Giovanna Marini e Patrizia Nasini al Museo Cervi come si ascolta una preghiera, anche se non ho saputo rispettarla e ho sentito l'esigenza di cantare (di recitarla) a mia volta, aggiungere voce su voce, lode e lamentazione.
Poi, siccome mi mancavano le parole, l'ho baciata. Quando mi sono alzata per andare a
ringraziarla per l'incredibile lavoro artistico, per la lotta di conservazione della storia orale, della storia degli ultimi, della memoria di Pasolini muore civilmente un paese che è capace di uccidere anche il suo Poeta, [proprio come ora che scrivo] mi sono mancate le parole e l'ho solo baciata.

Persi le forze mie persi l'ingegno
la morte mi è venuta a visitare
«e leva le gambe tue da questo regno»
persi le forze mie persi l'ingegno.

Le undici le volte che l'ho visto
gli vidi in faccia la mia gioventù
o Cristo me l'hai fatto un bel disgusto
le undici volte che l'ho visto.

Le undici e un quarto mi sento ferito
davanti agli occhi ho le mani spezzate
la lingua mi diceva «è andata è andata»
le undici e un quarto mi sento ferito.

Le undici e mezza mi sento morire
la lingua mi cercava le parole
e tutto mi diceva che non giova
le undici e mezza mi sento morire.

Mezzanotte m'ho da confessare
cerco perdono dalla madre mia
e questo è un dovere che ho da fare
mezzanotte m'ho da confessare.

Ma quella notte volevo parlare
la pioggia il fango e l'auto per scappare
solo a morire lì vicino al mare
ma quella notte volevo parlare
non può non può, può più parlare.


Lei mi ha sorriso e mi ha detto che si è accorta che [le canzoni] le sapevo tutte. E io, grazie alla sua lotta di resistenza, mi sono sentita una giovane ragazza privilegiata. Privilegiata per aver vissuto tanta passione attraverso la voce stratificata della storia in odore di sangue, sudore e terra e non di carta stampata.
Tutto ciò nella stessa sala in cui, tempo fa, con la mia famiglia, ho potuto ascoltare le testimonianze degli orrori delle stragi nazi-fasciste, solo finché il cuore e il fiato di chi raccontava sono stati in in grado di reggere al disumano. Il resto non si può descrivere e, solo per questo, noi non sapremo mai fino in fondo cos'è stato l'inferno.
Ieri pomeriggio, se foste passati per le strade di Genova, ci avreste potuto vedere seduti su una panchina di Piazza Alimonda. Ricordavo fin troppo bene quelle strade anche se la tentazione era quella di chiedere un'indicazione alle camionette di celerini che sfilavano verso lo stadio: "scusate, voi che la conoscete bene, sapreste indicarci la strada per Piazza Alimonda?" Il semaforo ha cambiato tante volte colore prima che ci decidessimo a riprendere il nostro cammino. Come Giovanna fa rivivere i canti di quei malfattori, noi volevamo intensamente che Carlo rivivesse in noi in quel preciso luogo, fra anziani signori davanti ai loro caffè, un extracomunitario che cercava di sopravvivere vendendo fazzoletti, alcuni piccioni, un edicolante indaffarato, la vita indifferente ad ogni tragedia. Non ci ero più tornata e mi aspettavo di vedere il tempo ancora immobilizzato, come nell'istante immediatamente successivo allo sparo.

Non capisco come il tempo possa non vergognarsi di scorrere ancora in Piazza Alimonda.

Anche se ora mi sembra decisamente un fatto minore, c'è stato un convegno molto interessante che ha animato la sala conferenze dell'archivio-biblioteca Emilio Sereni dove ho avuto il piacere di tenere in mano vecchi e meno vecchi volumi di storia contadina, soprattutto.
L'occasione era quella della biennale del paesaggio. Si è ragionato di paesaggio polisemico, stratificato. Mi è dispiaciuto constatare che Farinelli si è limitato - pur facendo filtrare parole come esche di riflessione - a fare da coordinatore. Si è partiti dalla distinzione importante dei termini: territorio con il suo senso politico, paesaggio con il suo senso estetico. A Emilio Sereni il debito della scoperta dell'agricoltura come arte del paesaggio, "panorama culturale". Ri-scoprire - fin dai poemi omerici - la vite come simbolo del genio umano e del passaggio, del confine, del limite fra natura e cultura. Saper leggere il tessuto narrativo del paesaggio dall'archeologia alla contemporaneità, sentirvi all'interno la propria testimonianza identitaria, auspicare la nascita a livello di massa del concetto di coscienza del luogo. Perché il paesaggio è innanzitutto memoria e solo chi non ha memoria non ha bisogno di tutelare il paesaggio: l'identità, il luogo di riproduzione della vita sociale. Asor Rosa, infine, si è riscoperto commosso a trovarsi in quel luogo per la prima volta. Per la prima volta?! È così che mi ha lasciato tanto amaro in bocca nel mettermi di nuovo di fronte alla consapevolezza dei grossi limiti non tanto del panorama culturale italiano come dice lui nascondendosi dietro una pagliuzza, quanto invece della nostra classe intellettuale.



Su flickr qualche foto di una giornata a Genova fra via del campo e il porto e l'installazione del prof. Mario Turci al Museo Guatelli. Spero di poter presto pubblicare uno stralcio del concerto anche qua sul blog.

31 ottobre 2008

Contro il decreto Gelmini: corteo di Parma e (fin troppo) veloci riflessioni politiche


Qui tutte le foto che ho scattato giovedì 30 ottobre alla manifestazione di Parma contro il decreto Gelmini. Per quei ragazzi che, probabilmente, le stanno cercando.
Solidarietà per Yassir Goretz, compagno di rifondazione in stato di arresto a seguito degli attacchi fascisti al corteo di Roma preparati e gestiti a monte.
Parma, una città che ha una meravigliosa tradizione culturale è, tuttavia, ormai a ragione etichettata come una città snob, chiusa e razzista. L'intolleranza si respira soprattutto verso extracomunitari e meridionali ma anche, in dosi ridotte, verso chi non è emiliano o addirittura verso chi non è parmigiano. I vigili picchiano. Si fa repressione.
Parma, insomma, non è più da tempo la città delle barricate.
Nonostante questo un buon movimento di persone si è potuto vedere anche qui. Segno che, finalmente, comincia a filtrare l'idea che certe battaglie si debbano compiere a prescindere dall'orientamento politico, perché sono necessità che riguardano tutti (e non che l'orientamento politico debba escludere alla partecipazione, ma di questo parlerò fra poco). Da registrare, però, c'è il fatto che l'università sembra ancora addormentata e la stragrande maggioranza dei partecipanti riguardava gli studenti medi. Anche se, soprattutto nella facoltà di chimica, qualcosa si muove.
Per prima cosa ho notato una grande disorganizzazione all'interno di questo interessante movimento. Si urla a più voci l'apoliticismo (andare contro le decisioni di un governo, si sappia, è politica), l'apartitismo a tutti i costi, senza considerare che i partiti sono strutture (è vero, alle volte fin troppo burocratiche e che, come nel caso di Rifondazione hanno commesso errori politici che sono stati, però, ampiamente riscattati dall'ultimo congresso che ha finalmente riavvicinato il partito alla base e alla gente) che hanno acquisito notevole esperienza e un loro appoggio può essere notevolmente utile. Insomma non si è capaci di chiedere un permesso per una manifestazione, si chiede a Rifondazione di farlo e poi si insultano i tesserati che scendono in piazza con le bandiere: un controsenso mi pare. Tanto più che, a mio modo di vedere, i partiti della sinistra vera dovrebbero avere tutti i diritti (innanzitutto perché lo prevede la democrazia) di partecipare a questa protesta che li vedeva schierati fin prima della riforma Moratti. Sul diritto politico (non democratico) di parteciparvi del PD ho già qualche dubbio in più e consiglierei di andarsi a rivedere i decreti Berlinguer a proposito di scuola e finanziamento alle scuole private tanto per capire da dove parte il ciclo che ci ha portato direttamente alla Gelmini.
Ho partecipato e continuerò a partecipare, pur sentendomi quasi esclusa per la mia convinzione politica, a questo movimento, ma mi auspicherei che la protesta si diffondesse anche su altri temi. E non si tratta solo di solidarietà, di non protestare solo per quello che ci riguarda più direttamente (per questo mi aspetterei proteste almeno contro il precariato - non solo quello della ricerca - tanto più che gli studenti si presume e si spera diventino giovani lavoratori), ma si tratta di vere e proprie emergenze ambientali e democratiche che riguardano tutti, nessuno escluso. A quando le mamme con le carrozzine in piazza per proteggere il pianeta allo stremo che deve ospitare i loro figli? E' già passato alla camera il pacchetto che riguarda il ripristino del nucleare in Italia senza che sia ancora stato risolto il problema delle scorie, senza che sia incentivata la ricerca sulle fonti di energia pulita già oggi in grado di sostenere il nostro fabbisogno energetico, praticamente senza che i media ne parlassero (dov'era il PD? E dov'era quando il governo ha approvato l'articolo di legge che destina la gestione dell'acqua pubblica ai privati tanto per fare un esempio?).
Abbiamo avuto ronde di fascisti pilotate dall'alto ad attaccare i cortei pacifici di protesta (ribadisco che mi piacerebbe riparlare con certi ex-diessini oggi, a proposito della loro lettura dei fatti di Genova) o a invadere le sedi Rai. Abbiamo un'emergenza Rom che l'unione europea ha sancito come gravissima a livello di distruzione di un'intera popolazione. Ieri sera il TG2 ha detto la parola fascismo almeno dieci volte; si ritirano fuori vecchi filmati d'archivio dove Togliatti si volta a guardare Stalin per dimostrare che i comunisti sono cattivi; si esalta lo statista Mussolini; Gelli è in TV; si tagliano le gambe alla piccola editoria per avere finalmente una mono voce sostenuta con piacere e compiacenza da una grande mono opinione pubblica; si parla di sangue e repressione poliziesca... E mi vengono a dire che il movimento deve per forza essere apolitico. Mi sento male.