Alla fine sono andata a Milano. Autostrada e metropolitana per arrivare alla Triennale e vedere Basquiat. Mi sono immersa in un mondo di colore del tutto inquietante. Ho letto che su molti forum consigliano di portate i bambini a vedere la mostra magari, potendo, anche il cane. Io, personalmente, non credo che i bambini si divertirebbero e, se pure la spontaneità dell'artista ricorda lo scarabocchio infantile, è l'incubo, la rabbia della vita e la paura della morte che trasudano da quelle pennellate accecanti. Più dei dipinti, stravisti, mi sono lasciata prendere dai video, dalle confidenze con Wharol. Il vecchio artista di cui non conoscevo la modestia cura con dolcezza il ragazzino irriverente, lo spinge alla riflessione ma ne ama la spontaneità. Non s'indispettisce del fatto che il giovane Basquiat acclama una superiorità artistica nei confronti del mondo. Lo guarda con gli occhi di un sopravvissuto e lo ama profondamente. Gli occhi consapevoli di un uomo comprato e consumato come le merci che aveva innalzato al grado di arte.
Siamo usciti senza sapere di preciso cosa pensare e abbiamo camminato attraverso il castello fino al duomo dove c'era tantissima gente in piazza. Domenica a Milano si mangiava, si passeggiava sfoggiando borse di grandi firme, si vendevano palloncini rumorosi. Ho fotografato gli improbabili accostamenti architettonici milanesi come pure Il cielo imprigionato dai cavi del tram quasi fossimo a Lisbona, ma senza quella luce e senza la voce incredibile di Teresa Salgueiro.
Ho visto anche "Il segreto di Esma" e mi sento quasi di parte a commentarlo. Ho sempre amato la cultura, la musica dei popoli dell'est, adoro Sarajevo e ho sofferto della guerra nell'ex-Jugoslavia con una partecipazione che non conoscevo prima. Il mio grande impegno politico, ora dormiente, è partito da lì. Credo di aver condiviso con gli amici di poi quella grande sfilata, accompagnati da Pietrangeli, ancora sconosciuto anche lui. Di sera vedevo i bombardamenti oltre l'Adriatico e andare in quelle terre devastate è stato il mio vero viaggio. Dunque ho vissuto il film con profonda partecipazione e speranza e lo consiglierei almeno perché è semplice e onesto, mai retorico.
La co-protagonista del film è Sara, la città che ho imparato ad amare è Sarajevo, la santa degli zingari è Sara anche lei.
Per il resto ho visitato una serie infinita di ambulatori medici in questo periodo e tutti quei neon mi sono rimasti negli occhi, quel bianco non è riuscito a cacciarlo neanche Basquiat. Niente di serio ma è spossante lo stesso. Persino il dentista è come se mi avesse tolto via un pò di quella mia fragile e sottilissima dignità che ancora si aggrappa chissà a che cosa.
Una stanca Guccia e la sua stanca lotta... per la prima volta personale.
23 gennaio 2007
Ancona - Milano - Sarajevo.
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2 commenti:
Su con la vita! Prima o poi tutto passa. Ciao. F.B.
Qui si dice: "Sperema". Tanto la vita è a senso unico, per cui solo avanti posso andare. Bacione :*
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